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 2019  febbraio 07 Giovedì calendario

I 51 detenuti fantasma

La domanda inevitabile è: fin dove ci si può spingere? Può un paese civile, in nome della lotta al crimine, seppellire degli uomini sotto il livello del suolo, come fanno a Bancali, il carcere-inferno vicino Sassari, dove hanno scavato nel terreno celle in cui la luce del giorno non entra mai? 
Lì sotto vivono 87 dei 748 italiani che per lo Stato sono il piano più alto del crimine. Sono i detenuti sottoposti al 41-bis, il carcere duro che dai tempi della strage di Capaci viene usato per spezzare i legami con l’esterno degli uomini del clan: ma anche per fiaccarne la resistenza, per spingerli alla resa. Ed è già un regime difficile da sopportare, fatto di regole stringenti e anche di divieti apparentemente assurdi. Eppure per una piccola parte di loro, lo Stato ha deciso di andare più in là. Sono i cinquantuno sepolti vivi.
È un rapporto choc, quello che il Garante nazionale dei detenuti ha consegnato nei giorni scorsi al ministero della Giustizia sulla vita quotidiana nei reparti del 41-bis. E il capitolo più urticante è quello sulle «aree riservate», quelle dei sepolti vivi. Quattordici aree, sparse in sette carceri, per ospitare i cinquantuno irriducibili. Trenta di loro sono condannati con sentenza definitiva. Ventuno sono ancora in attesa di giudizio. Ma per tutti loro il ministero ha stabilito che anche dal 41 bis riuscirebbero a mandare ordini all’esterno. Per questo, scrive il Garante, nei loro confronti «si applica un regime detentivo di ancor maggior rigore rispetto a quello del 41 bis». Per quattro di questi detenuti, la conseguenza è l’isolamento totale.
Chi sono? L’elenco ufficiale non esiste. Un nome che sicuramente fa parte della lista dei 51 è quello di Michele Zagaria, il capo del clan dei casalesi, condannato all’ergastolo. E nelle stesse condizioni ci sono i padrini della Cupola di Cosa Nostra e alcuni boss della ’ndrangheta. «Apicali», li definisce il ministero. I criteri di scelta li riassume così il Dipartimento della amministrazione penitenziaria nella risposta al Garante: «In tali sezioni vengono allocati detenuti che, in virtù del loro carisma e della carica rivestita nell’ambito dell’organizzazione criminale possono ricreare situazioni di supremazia e di sopraffazione nei confronti degli altri detenuti di minor spessore criminale». L’obiettivo, insomma, è impedire che continuino a comandare anche in carcere.
Per questo, le celle delle «aree riservate» sono organizzate in modo da impedire qualunque contatto visivo con gli altri detenuti, anche fuggevole: perché anche da piccoli segnali, mandati passando in corridoio, il boss può ricevere un messaggio. Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo proibiscono di mantenere per lunghi periodi in totale solitudine i detenuti, per questo a ogni ospite delle «aree riservate» viene affiancato un detenuto che gli faccia compagnia. Secondo i vertici del ministero, i quattro boss che sono in isolamento totale lo sono per scelta loro: «hanno scelto di vivere la propria detenzione in stato di isolamento volontario e periodicamente viene proposto l’inserimento in un gruppo di socialità che viene puntualmente rifiutato».
Per tutti i cinquantuno delle «aree riservate» l’isolamento si aggiunge alle norme già ferree del 41 bis, sulle quali il Garante è tornato a avanzare dubbi respinti in blocco dal ministero. Alcune di queste norme appaiono giustificate dalle esigenze di sicurezza, altre appaiono inspiegabili e quasi grottesche. Nel carcere di Cuneo si possono comprare due gelati per volta, ma è proibito metterli in frigo: bisogna mangiarli contemporaneamente. A Novara non si può andare a fare la doccia con l’accappatoio e l’asciugamano: o uno o l’altro. All’Aquila è proibito andare all’aria con i sandali infradito. Nei reparti del 41-bis le padelle possono avere al massimo 22 centimetri di diametro e si possono tenere al massimo quattro libri. Le fotografie non possono essere più grandi del formato 20x30 perché, spiega il ministero, in caso contrario «i detenuti più abbienti e con posizione di supremazia si doterebbero di formati più grandi rispetto agli altri. Inoltre formati grandi possono essere esposti in cella e visibili dalle celle speculari o da detenuti in transito trasmettendo così messaggi criptici». La necessità di impedire il passaggio di comunicazioni in codice giustifica anche il divieto per i familiari di presentarsi ai colloqui indossando qualunque capo marchiato o griffato, perché anche i loghi potrebbero contenere un messaggio. Per lo stesso motivo, proibite le etichette sulle bottiglie d’acqua.
Il limite più pesante, quello che condiziona maggiormente la vita quotidiana in cella, è quello all’ora d’aria. Per legge, i detenuti al 41 bis hanno diritto al massimo a due ore di «passeggio» al giorno, ma spesso in pratica neanche a quelle. Colpa, scrive il ministero, «dei limiti strutturali di taluni istituti». Di fatto, in molti casi si resta chiusi in cella ventitrè ore su ventiquattro.
È difficile immaginare come a uomini detenuti in queste condizioni sia possibile dimostrare ancora il loro potere. I cinquantuno del Gotha, secondo il ministero, però potrebbero farcela. Così il loro destino è l’«area riservata», il livello più estremo della condizione carceraria. Qualcuno regge, qualcuno si rifugia in un mondo suo, qualcuno si ammazza. La richiesta del Garante è una sola: le «aree riservate» devono essere chiuse.