il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2019
l’esodo dei tunisini in Italia
Se in generale nel 2018 gli sbarchi sono calati, va registrato un aumento dei tunisini approdati in Italia. Dal Paese nordafricano di fronte alle nostre coste sono andati aumentando anche gli arrivi di persone titolari di passaporto tunisino. Fatto sta che da 880 nel 2015, i tunisini entrati nei confini italiani nel 2016 sono stati 1.207, 6.000 nel 2017 e 5 mila l’anno scorso. La lieve flessione del 2018 non modifica il trend.
Uno dei motivi per cui le autorità italiane sono preoccupate dall’aumento di arrivi di cittadini tunisini è la liberazione, avvenuta in seguito a due indulti, di migliaia di criminali dalle carceri del paese nordafricano dove sono tornati migliaia di foreign fighters dello Stato Islamico reduci dai campi di battaglia in Iraq, Siria e Libia. La Tunisia è la nazione da cui è partita la più grande ondata di jihadisti africani arruolatisi nell’Isis. I motivi di questa diffusa adesione alla “guerra santa” sono soprattutto di carattere economico. Nonostante la “rivoluzione dei gelsomini” del 2010 contro l’allora presidente-dittatore Ben Ali, la povertà non è regredita mentre la disoccupazione è rimasta altissima, così come la corruzione. Appena fuori da Tunisi, la capitale dove la situazione socio-economica è difficile ma non drammatica grazie alla ripresa (seppure ancora ampiamente insufficiente) del turismo, la desolazione è evidente. La mancanza di prospettive, specialmente per i giovani, è sempre più lampante mano a mano che si viaggia verso sud, al confine con Algeria e Libia. Ed è proprio da queste zone che è partita la maggior parte degli uomini e delle donne convinte a immolarsi per la causa jihadista dietro compenso, lauto per gli standard locali.
Mentre questi combattevano in Medio Oriente, l’economia tunisina non è migliorata. Non è un caso che il 26 dicembre scorso si fosse dato fuoco nella simbolica piazza dei Martiri della città di Kasserine – non lontano da Sidi Bouzid dove scoppiò la rivolta popolare dei gelsomini in seguito al gesto analogo di un ambulante, Mohamed Bouazizi – un giovane reporter disoccupato di Telvza tv, Abderrazak Zorgui, morto poche ore dopo. In un video postato su Facebook poco prima, il giornalista aveva spiegato le ragioni del suo drammatico gesto denunciando l’umiliante precarietà a cui era costretto e lanciando un appello ai disoccupati della regione a scendere in piazza per reclamare il loro diritto al lavoro e ad un futuro migliore. La disoccupazione è al 15 per cento ma quella giovanile sfiora il 35 per cento e basta fare un breve giro nelle strade di una qualsiasi città o villaggio per constatarlo: la maggior parte dei giovani uomini passa le proprie giornate a fumare il nargilè nei locali disadorni in attesa che venga sera. Le proteste seguite alla morte del giornalista precario però sono durate pochi giorni non solo a causa dei gas lacrimogeni e alle manganellate della polizia. La speranza sta lasciando il posto all’apatia. I problemi principali che invece riguardano la gente comune sono: i continui rincari anche sui beni di prima necessità a fronte di stipendi congelati, disoccupazione (soprattutto giovanile), corruzione, terrorismo e mancanza di prospettive di crescita. Sono 670 mila gli impiegati statali che subiranno il congelamento dei salari obbligato da un accordo tra il governo e il Fondo Monetario Internazionale, che ha concesso un programma di prestiti da 2,8 miliardi di dollari in cambio di riforme tese alla riduzione del grave deficit del Paese nordafricano. A peggiorare la situazione è intervenuta la nuova legge finanziaria che ha aumentato anche le tasse su telefonia, automobili e Internet. Anche il settore alimentare è stato colpito nonostante la promessa del governo di aumentare solo i prezzi dei prodotti di lusso.
La tensione che si respira nel paese è dovuta anche alle forti frizioni nella compagine governativa. Il presidente della Repubblica, Beji Caied Essebsi, è in contrasto con il premier Youssef Chahed, che guida un esecutivo di unità nazionale, i cui poteri (insieme a quelli del parlamento) sono indeboliti da una Costituzione che prevede un regime presidenziale misto. Nel suo discorso di fine anno, Essebsi ha confermato che si ricandiderà alle Presidenziali calendarizzate entro la fine dell’anno, senza data certa. E non fa ben sperare che lo stato di emergenza sia ancora in corso dopo l’entrata in vigore nel 2015. Il 3 gennaio scorso è stato prolungato dopo che due jihadisti si sono fatti saltare in aria.