Da destra dicevano provocatoriamente che lei stava usando la sua tragedia familiare per entrare in politica. Nei fatti li ha smentiti, ma glie l’hanno chiesto?
«Sì, altroché, inutile dire chi. Ho detto no perché non sono un politico e non lo sarò mai. Sono stato il capofamiglia carnico. Gli uomini della mia generazione sentivano forte il dovere di tutelare ogni componente della famiglia, tutto qui, un classico».
Però contro la scelta degli Englaro è stata organizzata una massiccia campagna politica.
Per esempio c’era la processione di chi portava l’acqua perché Eluana stava morendo, così sostenevano, di fame e di sete. Lei che pensava?
«Che erano completamente fuori dalla vicenda. La medicina non è una scienza assoluta, ma i medici, Carlo Alberto De Fanti in primis, dopo i suoi attenti esami, ci dissero che Eluana non aveva alcuna sensazione di fame e sete. Hanno voluto giocare pesante, in modo violento, fuorviando le persone meno attrezzate culturalmente. Alla fine, più che seminare confusione e cattiverie non hanno ottenuto».
Chi ha visto Eluana tutto poteva dire meno che fosse “tranquilla e serena”, come pure è stato scritto…
«Eluana non era né una malata terminale né una morta cerebrale, respirava, non deglutiva da sola, ed era morta dal punto di vista biografico. Come ha scritto Ceronetti, era “priva di morte e orfana di vita”. Definirla tranquilla è terribile».
E sentire Silvio Berlusconi affermare che avrebbe potuto restare incinta?
«O non sapeva quello che diceva o è stato consigliato male da chi stava intorno a lui. Peggio di così non avrebbe potuto esprimersi, e non credo che anche lui volesse giocare a effetto, dicendo simili parole penose».
Lei all’inizio disse: “Darò voce a mia figlia senza voce”. Sente di esserci riuscito?
«Senza il minimo dubbio, sin dal primo colloquio con i medici io e mia moglie Sati avevamo espresso le idee di Eluana e, quindici anni dopo l’incidente, troviamo la sua lettera, in cui scrive che siamo un gruppo familiare molto forte, che siamo un nucleo affettuoso sul quale contare, e condividiamo i grandi valori. I genitori che hanno avuto questo privilegio cosa potevano fare se non darvi seguito? Se ho parlato io è solo perché mia moglie non resisteva al dolore che provavamo».
Com’è venuta l’idea di muoversi attraverso la giustizia civile?
«Per la verità, per quattro anni siamo stati due randagi che abbaiavano alla luna. Poi ho trovato a Milano la Consulta di bioetica e così abbiamo dato il via a una strategia giurisdizionale di legalità dentro la società. Allora non era quasi concepito che qualcuno potesse dire ai medici: non voglio le cure. La cultura della società di allora non accettava la scelta di Eluana, e di questo ce ne siamo accorti cadendoci dentro, vedendo che nostra figlia veniva trattata come mai avrebbe voluto. Noi eravamo persone comuni, avevamo contro partiti e non solo, ma la magistratura, dalla suprema corte di Cassazione in poi, s’è comportata alla grande. I giudici non sono stati servi di alcun potere esterno, hanno risposto al meglio del meglio».
Mettendoci molto tempo, o no?
«No, sono stati serissimi, non hanno lasciato nulla al caso, hanno richiesto persino un curatore speciale in contradditorio al tutore, che ero io, proprio per cautelarsi al massimo. Ma non potevano non scoprire che i convincimenti di Eluana erano fissati sin dal primo giorno. La nostra forza sono state la semplicità e la trasparenza, ripetevamo sempre e solo le stesse cose, che corrispondevano alla realtà».
Che cos’ha dato fastidio degli Englaro?
«Credo la mancanza d’ipocrisia, il nostro rivendicare la libertà dei singoli, avere la Costituzione come legge suprema e aver mosso ogni passo alla luce del sole, in base alle leggi. Infatti, adesso c’è una nuova legge, la 219 sul biotestamento, entrata in vigore il 31 gennaio 2018, allineata alle sentenze Englaro e alla Costituzione».
Non ha l’impressione che il dibattito sul fine vita sia ormai esile?
«No, non langue, è cambiato. Adesso c’è questa legge che è “facoltizzante”, cioè dà la facoltà di scegliere. Noi abbiamo trovato il deserto e i pericoli, adesso chi vuole ha le prove provate dei pericoli che corre se non stabilisce il suo “fine vita”. Vuoi essere curato? Non vuoi essere curato? Siccome non c’è chi possa decidere al posto nostro, siamo noi che, fatto l’approfondimento, dobbiamo far sapere la scelta che abbiamo fatto attraverso le nostre disposizioni».
E se uno non ha le idee chiare?
«Purtroppo resta in balìa del posto dove arriva per esempio dopo un grave situazione clinica e son dolori, si rischia la tragedia nella tragedia. Eluana, da purosangue della libertà, avrebbe detto no grazie appena finita l’emergenza. Purtroppo per la medicina ancora oggi tutto quello che non è morte cerebrale è vita».
Eluana, dj Fabo, Welby, sono aspetti diversi di come ci si pone davanti al fine vita. Ma a volte sembra una sorta di “mischione”, o no?
«C’è chi vuole fare confusione, ma non è così, anche se il tema generale e comune resta l’autodeterminazione. Eluana però nulla c’entra con l’eutanasia o il suicidio assistito, per lei il tema era il rifiuto delle terapie. Ma Marco Cappato sta cercando di andare oltre e fa bene a cercare una risposta legale ad altre esigenze che meritano di essere prese seriamente in considerazione».