la Repubblica, 6 febbraio 2019
Il postino robot
TOKYO Ha portato un pacco ad una coppia di anziani a Minamisima, cittadina nella prefettura giapponese di Fukushima che ha sofferto non poco per il maremoto del 2011 e l’incidente alla vicina centrale nucleare. Yape, il robot a guida autonoma nato a Milano, questo fine settimana ha percorso senza intoppi le strade del centro, superando incroci ed aggirando ostacoli con la sua livrea rossa e il logo delle poste giapponesi. Si autobilancia sulle due ruote, ha otto sensori di prossimità, un radar e sei videocamere attraverso le quali riconosce persone, veicoli, segnaletica. Può trasportare fino a 30 chili di peso percorrendo anche 40 chilometri. Il pacco di Minamis?ma era leggero, la distanza breve, eppure Yape ha compiuto un’impresa non da poco. Un robot italiano scelto da un colosso come Japan Post, in una terra di robot come il Giappone, non è una cosa da tutti i giorni. «Quella consegna ha sancito la fine della prima fase di test», racconta Simone Fiorentini, 32 anni, cofondatore della startup milanese. «Ci aspettano altri due anni di prove, ma intanto Yape è fra i due veicoli di terra rimasti in gara dei 20 scelti all’inizio». L’unico capace di rivaleggiare con CarriRo Deli dell’azienda Zmp di Tokyo. Sembrava non ci fosse partita, il Giappone è il primo produttore di robotica industriale al mondo e non ammette di buon grado che qualcun altro possa fare meglio. Ma Yape alla fine l’ha spuntata sia perché su strada ha dimostrato di essere più affidabile, sia per la piattaforma software per le consegne sviluppata sempre dall’azienda milanese, che ha già raccolto investimenti per sei milioni di euro ed è valutata circa 20 milioni. A quanto pare funzionano in maniera egregia. Fiorentini, Phd al Politecnico di Milano, ha passato un mese al freddo nelle strade fittizie di una vecchia scuola guida ad una cinquantina di chilometri dalla centrale di Fukushima, provando e riprovando le abilità di Yape assieme agli ingegneri delle poste e della Hitachi che li affiancavano.
Intendiamoci, non è come vincere il Nobel. Yape ha “solo” confermato che in fatto di meccanica siamo fra i primi Paesi al mondo. Terzi per l’esattezza nella robotica industriale, dopo lo stesso Giappone e la Germania. E siamo settimi nell’impiego dell’automazione con 160 robot ogni mille operai. Ancora: secondo la testata inglese The Economist, che ha stilato una graduatoria delle nazioni più avanzate in ricerca, regolamentazione e formazione riguardo a intelligenza artificiale ( Ai) e robotica, arriviamo undicesimi subito dopo gli Stati Uniti e prima della Cina.
«Parliamo di uno dei pilastri delle nostre esportazioni», racconta Barbara Mazzolai, a capo del centro di ricerca di biorobotica dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit). «Ma la sa una cosa? Pochi se ne rendono conto. Per restare ai vertici dobbiamo intanto convincerci che siamo una potenza e dobbiamo investire per rimanere tali creando nuovi mercati e posti di lavoro invece di crescere generazioni di precari frustrati». Si tratta anche di saper trovare investimenti ed opportunità. La Mazzolai, ad esempio, coordinerà il progetto GrowBot, dedicato alla cosiddetta” robotica soft” ispirata a piante e animali, con poco meno di sette milioni di euro stanziati dalla Commissione europea. Oltre all’Iit, ne fanno parte il Gran Sasso Science Institute e la Linari Engineering Srl in Italia. All’estero, fra gli altri, c’è la Tel Aviv University in Israele e il Centre National De La Recherche Scientifique (Cnrs) in Francia. Ovviamente la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha costruito la mano robotica della quale si parla a pagina 4, è della partita. «Il problema da noi non sta nella fuga dei cervelli, andare all’estero ha un valore enorme, ma è nel non riuscire a riportarli indietro dopo che hanno fatto esperienza come invece avviene in Israele o in Cina», prosegue la ricercatrice dell’Iit. Cita poi come esempio il Laboratorio Nazionale di Artificial Intelligence guidato da Rita Cucchiara nato quest’estate per unire le forze delle università e dei centri di ricerca italiani in fatto di Ai. A quanto pare, presto potremo veder qualcosa di simile anche per la robotica.
Una buona notizia. Se non uniamo le forze e guardiamo all’estero è difficile immaginare un futuro. Non siamo come il Giappone che ha un mercato interno da 128 milioni di cittadini ed è la terza economia al mondo. Abbiamo però in comune il tasso di invecchiamento della popolazione che nel loro caso si è tradotto in investimenti capillari nella robotica. Alle Japan Post sono convinti che nel giro di dieci anni cominceranno a non avere più fattorini. La soluzione sono i veicoli a guida autonoma per le consegne come Yape che in Giappone non è arrivato per caso. È cresciuto in seno ad eNovia, la “fabbrica di imprese” fondata a Milano nel 2013. Già valutata 122 milioni di euro, lavora con i politecnici e con loro sviluppa prodotti e servizi creandoci attorno delle aziende capaci di stare in piedi e affrontare i mercati. Non si limita quindi a trovare finanziamenti per intuizioni che appaiono brillanti, ma costruisce compagnie unendo la competenza delle università e le giuste figure imprenditoriali. Riduce così il rischio di insuccesso e si può permettere di puntare all’estero.
A proposito di opportunità. «Lo scorso anno abbiamo portato qui a Tokyo, a nostre spese, 12 startup per l’Italy Innovation Day», racconta l’ambasciatore Giorgio Starace nella residenza a due passi dalla Tokyo Tower. «Vogliamo far capire agli imprenditori giapponesi che non siamo solo bravi nel campo dell’agroalimentare e della moda. E quest’anno si replicherà, in autunno, raddoppiando il numero delle startup». Considerando l’entrata in vigore dell’Economic Partnership Agreement (Epa) stipulato fra Europa e Giappone per l’abbattimento dei dazi doganali, si tratta del più grosso accordo commerciale mai negoziato da Bruxelles, per noi si aprono prospettive interessanti. Sperando, nel frattempo, che Yape arrivi fino alla fine. Come ha fatto a Minamis?ma, consegnando quel pacco. «C’erano del riso e dei dolci», rivela Simone Fiorentini. «La coppia di anziani ha ricambiato con un inchino e un gran bel sorriso».