Corriere della Sera, 6 febbraio 2019
C’è Benigni, nostalgia degli esordi
Il techetecheté d’autore, rispolverato da Carlo Freccero, era dedicato a Roberto Benigni, «uno dei personaggi più amati del nostro panorama artistico» (Rai2, lunedì, ore 21.22). Rispetto all’omaggio a Grillo, il programma, cui hanno collaborato Lucio Presta e Marco Giusti, era molto ben montato, in stile Blob, e c’era molto più materiale interessante (senza dimenticare che tra Grillo e Benigni non è mai corso buon sangue).
Non quindi una «cavalcata» temporale, dalle prime apparizioni nelle vesti di Cioni Mario fino alla consacrazione quirinalizia e petrina. «C’è Benigni» era una descrizione continua di altri discorsi, le forma stessa dell’accumulo e della concatenazione. Alla lunga carriera di Benigni è facile applicare il famoso paradigma di Alberto Arbasino: «In Italia c’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di bella promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di venerato maestro». Che nostalgia per i tempi dell’esordio, per la sfacciataggine di Cioni Mario e le irriverenze di TeleVacca!
E quella canzone, «Pantheon», dove si citano Enzo Ungari, Marco Melani e Bernardo Bertolucci. Il Benigni di Giuseppe Bertolucci, di Carlo Monni, di Arbore e Berlinguer! Poi c’è il Benigni delle apparizioni televisive, dei Festival di Sanremo, delle gag con Pippo Baudo e Raffaella Carrà (Fantastico 12, 1991) con il comico che salta addosso alla soubrette e le squaderna tutta la semantica dell’eufemismo degli organi riproduttivi. Dopo La vita è bella ci troviamo di fronte a Sua Benignità: solo temi che soddisfino la nostra sete di sapere: Dante, la Costituzione, il Decalogo.
Al fool, al buffone che dovrebbe obliquamente svelare la realtà nascosta dietro l’apparenza, si è intanto sostituito il bardo, un’icona non più scalfibile nonostante gli appannamenti di carriera. Inutile cercare le tracce del comico che è stato.