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 2019  febbraio 06 Mercoledì calendario

Alex Esposito, cattivo dell’opera

Nella musica c’è chi si specializza in un periodo (il barocco), in un approccio (la filologia). La singolarità del basso-baritono Alex Esposito è di essere famoso come «specialista» in ruoli malvagi. Il prossimo, Enrico VIII nell’Anna Bolena di Donizetti che il 20 febbraio debutta all’Opera di Roma con la direzione di Riccardo Frizza e per la regia di Andrea De Rosa.
Enrico VIII, il sovrano che ripudia le mogli.
«All’inizio lo vedevo come una sorta di Falstaff, cicciotto, stupidotto, volgarotto. Falsamente amato da chi aveva intorno, mi faceva tenerezza. Lo ricordo nei film con Charles Laughton o Richard Burton, più affascinante e sciupafemmine. Poi l’ho considerato come uno dei più grandi maschilisti della Storia, anche in quest’opera, dove si aggrappa al fatto che Anna Bolena prima di conoscerlo avesse avuto una tresca, e la fa fuori con una perfidia allucinante».
Mefistofele.
«Il più perverso è quello di Berlioz nello spettacolo di Damiano Michieletto all’Opera di Roma, una specie di serpente che avvolge le sue vittime nelle spire del successo, attirandole in trappola. Per la sua sbruffoneria poteva ricordare l’imprenditore Vacchi e aveva un che di Briatore. Quello di Gounod è più romantico e favolistico, quasi disneyano. Mi manca il Mefistofele di Boito, l’inferno, le fiamme, è il più iconografico».
Nei «Racconti di Hoffmann» di cattivi lei ne fa quattro.
«I principali sono tre, che sono tre modi di vedere i diavoli. È un’opera che farò a marzo al San Carlo. Il più divertente è Coppelius, lo scienziato capriccioso e trafficone che vende occhi magici per dar vita a una bambola meccanica; il più drammatico e violento è Miracle, una specie di dottor Mengele, è il medico che ha in cura la fanciulla con la maledizione di non poter cantare sennò muore, e lui fa di tutto per farla cantare, è subdolo, gioca sui sensi di colpa, nella disperazione del padre che assiste impotente. E ama impossessarsi delle ombre altrui. Una volta con Calixto Bieito feci quest’opera come trans-pappone, in minigonna e calze a rete, uccidevo Giulietta mimando un rapporto sessuale in mezzo alla strada, cavandole gli occhi».
Con i ruoli malvagi si rischia di strafare, recitando sopra le righe?
«Sì. La vera malvagità non è nell’eccesso ma nell’essenzialità, altrimenti si cade nel grottesco».
Desiderio
«Nella prossima vita vorrei interpretare
la regina del Male,
Lady Macbeth»
Dulcamara dell’Elisir d’amore è più ciarlatano o…
«È di una cattiveria assurda, un imbroglione che si serve dei poveretti per spillare soldi. È’ il simpatico cattivo alla Wanna Marchi».
E Don Giovanni?
«Mai dire mai, però c’è il rischio del cliché. Sono così affezionato a Leporello, l’ho fatto anche balbuziente davanti al suo padrone».
La cattiveria si porta fuori scena?
«Si è talmente coinvolti che... Ma cerco di non confondere le cose. Sono cresciuto in mezzo ai campi vicino a Bergamo e sono tornato in campagna nell’Appennino tosco-emiliano, tra piante e animali. Ho fatto costruire un organo di 1100 canne che suono. Mio padre fissava grondaie, mamma era sarta. Io amavo tutto ciò che è teatro, dal circo alla musica».
Nella prossima vita…
«Sogno la regina del Male, Lady Macbeth».