Corriere della Sera, 6 febbraio 2019
Valentina Peleggi dirigerà a Londra La Bohème
«Sono cresciuta con lo spartito impolverato sul pianoforte. La Bohème per me non è un’opera come le altre». È un filo conduttore che unisce il passato al presente e al futuro: quando il 20 febbraio Valentina Peleggi salirà sul podio della English National Opera per dirigere il capolavoro pucciniano porterà a segno, oltre al suo debutto londinese, il riscatto della nonna paterna, Clori, a 17 anni selezionata da Puccini per il ruolo di Mimì al teatro Costanzi di Roma e costretta a rinunciare.
«È stato il caso a volere che Bohème fosse la mia prima opera qui a Londra, non l’ho deciso io», racconta Peleggi nella pausa tra una prova e l’altra, eppure è difficile non intravedere negli eventi il segno di un pareggio del destino. Clori, incoraggiata dalla famiglia a scegliere tra il matrimonio e la musica, rinunciò al palcoscenico. Ma riuscì a trasmettere la passione alla nipote, che ricorda i lunghi pomeriggi in cui la nonna suonava Bohème, senza mai cantare. «Per me non è solo una partitura, è vita vera. I personaggi sono persone reali, fatti di emozioni vive: ridono, sperano, piangono e si disperano come tutti noi. In genere – aggiunge Peleggi – l’opera italiana per noi che siamo all’estero ha un sapore diverso. È come tornare a casa, ma con Bohème per me c’è una relazione particolare, estremamente personale».
Se Londra offre una piazza per alcuni aspetti più movimentata e innovativa rispetto all’Italia, sono comunque poche le donne che dirigono e quello di Valentina Peleggi è un traguardo importante non solo per un’italiana, ma anche per una donna. «Preferisco parlare di cammino piuttosto che traguardo – precisa —. Il viaggio è lungo, il percorso è denso, bisogna avere sempre nuovi obiettivi». Se il suo è un mondo ancora prevalentemente maschile, il sessismo non è ostentato. Piuttosto, spiega lei, si manifesta in modo subdolo: «Ogni orchestra è un microcosmo e reagisce in maniera diversa. Ho notato però alcune cose: un direttore maschio che fa con la mano un gesto piccolo, delicato, tenero, viene apprezzato per la sua espressività, una donna invece passa per essere eccessivamente femminile. L’uomo che si agita per esprimere energia è forte e intenso, la donna invece è aggressiva. Sono piccole differenze, ma esistono. Dirigere un’orchestra vuol dire assumere leadership ed è lo stile di questa leadership la vera sfida. Noi donne non possiamo copiare gli uomini o comportarci nello stesso modo. Dobbiamo reinterpretare il ruolo e trovare un nostro linguaggio che esprima tutto ciò che siamo».
Un lavoro immenso, fatto di tante tappe – come quella, significativa, di Londra – e nella convinzione che alla fine dev’essere sempre la musica a vincere. «È un linguaggio che va oltre le parole o i gesti. Con il primo attacco, la sera dello spettacolo, cambia tutto. Finisce il periodo delle prove, si entra in un’altra sfera, in cui la preparazione ci permette di parlare con le emozioni e reagire alle sensazioni». Se il 20 rappresenta il suo debutto con la English National Opera, Peleggi ha già fama di direttrice intelligente, energica, con grandi possibilità espressive. Dopo la laurea in letteratura si è formata in Italia all’Accademia di Santa Cecilia e all’Accademia Chigiana di Siena. A Londra ha fatto tre anni di perfezionamento alla Royal Academy of Music. È stata notata e professionalmente adottata da Marin Alsop, con la quale ha lavorato in Brasile e negli Usa prima di passare di ruolo all’orchestra sinfonica di San Paolo. Contemporaneamente ha vinto la Charles Mackerras Fellowship presso la English National Opera, dove rimarrà due anni come direttrice associata. Quando dirige usa la bacchetta solo se si tratta di un’orchestra con tanti elementi o di un’opera. «Devono riuscire a vedermi anche i cantanti che sono sul palco». Uno stile di leadership, il suo, dove la forza non esclude cortesia e rispetto.