il Fatto Quotidiano, 5 febbraio 2019
Intervista a Bobby Solo
“Mica lo sapevo che non si poteva dire ‘zingara’. Vorrà dire che d’ora in poi, ogni volta che la canterò, dirò ‘Prendi questa mano, donna errante…’”. Bobby Solo – nome d’arte di Roberto Satti, 74 anni il 18 marzo – mantiene intatta la sua verve ironica. Cinquant’anni fa, nel 1969, a trionfare sul palco dell’Ariston – Lucio Battisti arrivò nono con Un’avventura – furono lui e Iva Zanicchi proprio con il brano Zingara, scritta da Enrico Riccardi e Luigi Albertelli. Una canzone che era stata già proposta a Morandi, che l’aveva rifiutata: “Però Gianni mi fece un grandissimo regalo, da amico vero – spiega Bobby – venne da Roma a Milano solo per sovrapporre un accordo con la sua Martin americana”.
Ma oggi, a Sanremo, un brano con quel titolo si potrebbe cantare ancora?
Non era mica razzista! Anche tra gli zingari, come fra di noi, c’è chi agisce bene e chi male. Fa parte della natura umana. La canzone parla di una donna che legge la mano e prevede l’amore.
E quelle ci sono ancora.
Oggi esistono le maghe, tutte truccate, con le unghie lunghe un metro e mezzo e i capelli color platino… Prima era diverso. Le racconto un aneddoto. Quando mi fidanzai con mia moglie, 24 anni fa, andavo da una zingara a Ostia Lido. Le davo 50 mila lire, lei mi diceva “prima rilassiamoci”. Mi faceva parlare, raccontare e nel frattempo spargeva i tarocchi sul tavolo. Poi mi ripeteva le stesse cose che le avevo detto io. Concludeva con un “vedo soldi in arrivo”. Io invece vedevo i soldi che andavano via…
Frequentava spesso le cartomanti?
Nell’80 andai da una maga in via Po, a Roma, una con il turbante alla Moira Orfei. Costo? Duecentomila lire. Mi fece una previsione molto felice e poi volle brindare. Versò lo champagne in due calici di bronzo, di tipo medievale. Mentre stavo per bere nel mio cadde una mosca: bevvi lo stesso, ero troppo emozionato. Ricordo ancora la sensazione delle zampette sull’ugola.
Oddio… Però torniamo a noi. Oggi la parola “zingaro” non è politicamente corretta.
Invece di dire “cameriera” si dice “collaboratrice domestica”, invece di “prostituta”, “escort”. La prossima volta, canterò “Prendi questa mano, donna errante…”.
Nel 1969 a Sanremo trionfava l’amore, quando fuori si tentava ancora di fare la rivoluzione.
Il Festival è abbastanza immune dalle questioni politiche, al di là di piccole polemiche. È un appuntamento per gli italiani che hanno il senso delle tradizioni. Allora, ancor più di oggi, ci si concentrava sulla musica.
Lo stesso tentativo che sta compiendo Baglioni?
Con una differenza fondamentale. Ai miei tempi i primi in classifica vendevano milioni di dischi e bastava fare poche date per tirare su moneta. Oggi al massimo arrivano a 20 mila copie e devono riempire i palazzetti.
Cosa vuol dire?
Che è cambiata la fruizione della musica, e quindi lo stesso Sanremo. Lei s’immagina quando gli italiani videro uscire sul palco dell’unica rete in bianco e nero una donna bellissima come Nilla Pizzi, come poterono rimanerne affascinati? Oggi, con 900 canali satellitari e 400 milioni di video, la canzone non ha più appeal. È un sottofondo quando si mangia l’hamburger.
Questa sera, però, ascolteremo anche testi forti.
Le canzoni sono la colonna sonora dei tempi che cambiano. Noi siamo in una crisi planetaria, altro che destra e sinistra italiane. È chiaro che i brani conterranno insicurezza, dolore, alienazione… Noi non siamo economisti politici, ma creiamo musica in base alle sensazioni che proviamo.
Ma lei lo vede Sanremo?
Quando posso. In questo periodo sto organizzando uno spettacolo con un giovane artista, con il quale renderemo omaggio alle grandi canzoni italiane riprese da interpreti americani. Poi ho in mente un tributo a Tony Joe White, scomparso da poco, e un altro a Elvis. E poi ho le mie serate come Bobby Solo. Diciamo che non faccio il pensionato.