il Fatto Quotidiano, 5 febbraio 2019
De Laurentiis: calcio, business e idiozie
“Squadre come il Frosinone non dovrebbero giocare in Serie A perché non attirano fan, né interessi, né emittenti nel campionato. La promozione e la retrocessione sono la più grande idiozia nel calcio”. Also sprach Aurelio De Laurentiis, produttore cinematografico e patron del Napoli, una squadra che ha nove stranieri su undici, battuta solo dall’Inter (10 su 11) con un solo giocatore italiano, il terzino destro D’Ambrosio, ex Toro. Quella di De Laurentiis mi sembra una dichiarazione d’un razzismo sociale ributtante. Secondo costui solo le città grandi e ricche avrebbero il diritto a giocare in Serie A.
Nel primo dopoguerra, quando il calcio non era ancora diventato un fenomeno prettamente economico e televisivo (le due cose sono strettamente legate), e conservava i valori identitari, simbolici, rituali che per più d’un secolo hanno fatto la fortuna di questo gioco, la Pro Vercelli vinse sette scudetti, il Casale uno e uno la Novese di Novi Ligure. Nel secondo dopoguerra, la Pro Patria di Busto Arsizio ha militato per parecchi anni in A, il Lecco c’è rimasto un anno e tuttora il Sassuolo, che non ha nemmeno un proprio campo, è in Serie A e ha offerto, in alcuni anni, un ottimo calcio così come il Chievo che è la squadra di un quartiere di Verona (certo che se poi ogni anno le cosiddette “grandi” gli portano via i migliori giocatori è difficile mantenersi a certi livelli).
L’ottimo De Laurentiis più che al calcio dovrebbe darsi all’ippica, se esistesse ancora, perché, come gli ha fatto notare il presidente del Frosinone, giustamente piccato, pur avendo una squadra zeppa di talenti pagati milioni di euro, dal 2007 non ha ancora vinto nulla di significativo. E dovrebbe sapere che per molte tifoserie lottare per non retrocedere è più emozionante che vivacchiare a metà classifica con la sola ambizione, oltretutto piuttosto chimerica, di inserirsi in quella comica competizione che è l’Europa League, altra invenzione, con le “terze” che scendono dalla Champions e il sistema a gironi, per fare business, ancora business e sempre più business.
Pietrificare la serie maggiore di uno sport con le squadre che possono garantire più pubblico e quindi maggiori introiti, senza promozioni e retrocessioni, è tipico della cultura yankee costantemente orientata al business. Così van le cose per esempio nel loro basket che io guardo all’una di notte per conciliarmi il sonno perché è troppo tecnico e non si dà che una grande squadra possa perdere da una inferiore – che è poi quello che vorrebbe De Laurentiis – mentre la cosa meravigliosa e magica del calcio è che anche una “piccola” può sempre battere una “grande” o metterla in seria difficoltà come è avvenuto sabato scorso dove la Super Juve, in casa, ha strappato un sofferto pareggio (3 a 3) col Parma, dodicesimo in classifica.
Noi siamo europei, non americani e dovremmo cercare di conservare la nostra cultura almeno negli sport. Gli inglesi, che sebbene fuori dalla Ue sono pur sempre europei, lo fanno: Wimbledon, il più importante torneo del Grande Slam, si gioca ancora sull’erba, non sul cemento, non sul sintetico, e tennisti e tenniste devono essere rigorosamente vestiti di bianco.
La “grande idiozia” non è nel meccanismo delle promozioni e delle retrocessioni, la “grande idiozia” è proprio la proposta di Aurelio De Laurentiis. La Serie A si alimenta dalle squadre delle categorie inferiori, dalle quali acquista i giocatori che ritiene migliori. Se i tifosi del Frosinone o del Lecce o del Benevento o del Cittadella, solo per fare i primi nomi che ci vengono in mente, sanno già che non potranno mai ambire, nemmeno in teoria, alla Serie A, finiranno per perdere passione e interesse per il calcio, sia quello da stadio che quello in tv. La Serie A si troverà così come sospesa nell’aria e nel vuoto e cadrà a vite con l’intero sistema. E la “gallina dalle uova d’oro”, spremuta in tutti i modi, verrà alla fine uccisa dagli inesausti adoratori del denaro.