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 2019  febbraio 05 Martedì calendario

Sofia Goggia raccontata dal padre

Sofia scia con Schubert. «Con il Forellenquintett, me lo ha regalato mio papà a Natale. Il cd, perché non sa che esiste Spotify». Al cancelletto del superG che dà inizio al mondiale di Åre in Svezia (il 14 farà anche il gigante), oggi ci sarà in qualche modo anche Ezio Goggia, il padre della campionessa olimpica di discesa.
La bergamasca, 26 anni, lo porta sempre un po’ con sé quest’uomo di 68 anni, colto e selvaggio, ingegnere in pensione, pittore, pescatore, pensatore. «Sì è vero, ci somigliamo molto. Siamo esseri particolari».
Ezio, ha dato qualche suggerimento a sua figlia?
«Solo la musica che sta ascoltando. Spero sappia, se non apprezzare, almeno attingere i contenuti interiori di quest’opera che ha dato il tema per il Lieder de La Trota».
Serve per sciare?
«Certo. C’è dentro quello che le serve: armonia ed energia».
Ne ha bisogno?
«È stato un anno difficile per Sofia. La frattura al malleolo destro a ottobre le ha procurato molte sofferenze. Non solo fisiche. Vede, gli atleti corrono sempre per raggiungere i propri obiettivi e correndo continuano a mettere da parte se stessi, schiacciano la propria persona che rimane malformata e inespressa. Quando si fermano, hanno il tempo di ragionare ed è lì che si accorgono di essere rimasti indietro interiormente: si sentono spiazzati e devono rimboccarsi le maniche per recuperare quello che sono diventati intimamente. Noi genitori siamo lì per buttare una scialuppa».
Sofia è stata nella tempesta?
«Lei è sempre un mare in agitazione: la vita le scorre via senza che riesca a fermarla. Invece il tempo bisogna riuscire a bloccarlo, sentirlo e goderlo, altrimenti comanda lui. L’infortunio paradossalmente le è stato utile per riflettere e maturare, ha dato un’accelerazione alla sua crescita. Questo mi ha riempito il cuore. Mi ci rivedo molto in lei».
In cosa?
«Nell’ostinazione, la stessa di sua madre Giuliana, siamo coriacei, ma forse Sofia più di noi insieme. Mi sforzo di dirlo quasi asetticamente: mia figlia ha qualcosa di geniale, non so da chi ha preso, è noi moltiplicata per "n". È sempre stata una bambina intelligente e versatile, lo ha dimostrato anche adesso, riprendendo dopo l’incidente la sua strada di guarigione e di interessi che le hanno donato una nuova solidità. Ne sono felice, perché come tutti i genitori che si preoccupano, dei figli arriva sempre un’immagine antecedente a quella reale del momento».
In cosa è cambiata?
«Ha maturato la differenza tra azzardare e non azzardare. Non che sia più conservativa, ma sa che le goggiate non servono».
Lo ha dimostrato anche alle Olimpiadi in Corea del Sud.
«La discesa perfetta. Studiata millimetro per millimetro. La terribile caduta di Cortina prima dei Giochi le è servita di lezione: ha dovuto ritrovare il bandolo della matassa e metterci tutte le risorse intellettive per scioglierlo. È l’unica cosa che le dissi, puntandole il dito in mezzo agli occhi: che questo capitombolo ti sia utile».
Come si fa da genitori a non aver paura con una figlia discesista?
«Si caccia l’ansia, come ho provato a fare la notte prima della discesa olimpica: dipingendo. Ma se Sofia sfida le leggi fisiche, noi non possiamo essere da meno. A mia moglie ho detto: dobbiamo mettere anche noi l’airbag tra la nostra vita e l’attività di nostra figlia, altrimenti non campiamo più».
Com’è cresciuta Sofia?
«In una famiglia che si è sentita tale soprattutto nella nostra baita irraggiungibile a Cogne: niente acqua ed elettricità, mangiamo spinaci selvatici e trote pescate da noi nel torrente. Libertà e improvvisazione, per risalire indietro all’origine delle cose e lasciare a valle tutte le paturnie. Sofia ci va in un modo quasi religioso, per ritrovare se stessa».
Come la vede da grande sua figlia?
«Non so perché, ma in un ranch in America o in Canada con gli animali. Che torna ogni tanto da noi».
Se fosse un quadro, chi sarebbe Sofia?
«Uno Chagall. Per i colori, e le figure che si librano nell’aria».