la Repubblica, 5 febbraio 2019
La festa della Nutella
Che cos’è la Nutella? Una crema di nocciole? Un vasetto di vetro? Un brand? Tutte e tre le cose. E anche qualcosa di diverso e di più: un mito. Perciò c’è anche per lei il giorno di festa, il World Nutella Day: 5 febbraio. Lei che con la sua presenza è servita a creare la festa quotidiana di milioni di persone nel mondo.
Niente di più quotidiano della Nutella – ma come, è già finita? – e niente più di eccezionale di lei – vedi il barattolo da cinque chili antidoto contro la nevrosi di Nanni Moretti. La Nutella è intergenerazionale – il «che vogliamo stare tutta la vita a rimpiangere la Nutella» di Leonardo Pieraccioni – e interclassista – non distingue tra classi alte, basse e medie: la Nutella è la Nutella. Nata nel 1946 come “Supercrema”, diventa un brand quando Michele Ferrero nel 1964 le cambia il nome, sistema la formula e la propone in tazze e bicchieri. Chi non ha nella credenza almeno un bicchierino delle sue innumerevoli serie? La Nutella appartiene a quella che Chiara Alessi ha definito il «design senza designer», che è poi il segreto della sua fortuna. Il design concepito prescindendo dai singoli designer, i nomi noti che hanno fatto grande il Made in Italy. E al di là del suo contenuto, è prima di tutto un prodotto di designer, una straordinaria invenzione del marketing. Ad Alba e dintorni esistevano, ed esistono, vari di produttori di crema di nocciole, alcune anche ottime, ma nessuno ha avuto l’estro di trasformarla in marchio, di darle un nome facile: Nut, che sta per nocciola; e ella, una desinenza dal suono grazioso, femminile, accattivante. Il secondo strumento del suo successo è senza dubbio la pubblicità, che l’azienda di Alba ha sviluppato con grande intelligenza: il nazionalpopolare, quando questo non esisteva ancora, se non come elemento semi-kitsch. La Nutella ha nobilitato se stessa attraverso Jo Condor, negli anni Settanta, poi coltivando le rassicurazioni del claim “Mamma tu lo sai”, fino alla crema da spalmare con i bambini in scena. I designer della Ferrero hanno giocato sui valori emozionali del prodotto in modo intuitivo, facendo leva sull’identificazione, l’empatia.
Persino nel momento della crisi economica, ha saputo abbinarsi all’elemento base, il pane, un’idea di cibo che è nutrimento e semplicità insieme. Eppure niente è così concettualmente elaborato come la Nutella. Una semplicità complessa, come accade ai prodotti che bucano l’immaginario collettivo e si posizionano in quella sfera che Barthes ha definito dei “miti d’oggi”. Qual è l’arcano di questo mito? Il cacao, la cioccolata nella sua versione più nostrana e soprattutto dolce. Il cacao è un antidepressivo naturale; è delizioso e stimolante. In fondo la Nutella è la discendente del Brodo indiano, come la definivano i barocchi, bevanda liquida che ha conquistato l’Europa in concorrenza con tè e caffè.
Bevanda semisolida ha il suo fondamento nello stato fluido, altro aspetto di grande appeal. In un mondo dove tutto è solido, oppure liquido, l’invenzione del cibo semiliquido, o semisolido, ha un valore alternativo. Il vasetto e il bicchiere diventano perciò il complemento più ovvio, ma non per questo scontato, del contenuto. Il vetro, poi, è un materiale che suggerisce purezza, trasparenza, e in qualche modo felicità. Ecco, forse il segreto del brand di questa crema sta proprio nella parola felicità, che spiega le 400.000 tonnellate consumate in tutto il mondo. Basta poco per essere felici. Mettere un dito nel vasetto e suggerne il contenuto – un designer, Paolo Ulian, ha inventato il ditale di biscotto da immergere -, o immergere un cucchiaino nel fluido e poi metterselo in bocca. L’oralità è al suo culmine con la Nutella, e non c’è bisogno di evocare il dottor Freud per capire che la felicità è la restituzione dell’infanzia ogni giorno per tutti i giorni dell’anno. La ripetizione è il complemento di questa fantasia di dolce piacere. Vi pare poco?