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 2019  febbraio 04 Lunedì calendario

Intervista a Luca Ricolfi

Essere di sinistra, malgrado la sinistra. È il destino di Luca Ricolfi. Sociologo, insegna Analisi dei dati all’Università di Torino, è presidente della Fondazione David Hume: www.fondazionehume.it. Da anni recita la parte della Cassandra delle disavventure di Pd e compagni. Quanto pensa possa durare questo governo? 
«Tendo a pensare che possa durare anche 5 anni, perché l’ebbrezza del potere è un formidabile antidoto alle tentazioni di tornare al voto. Però non si sa mai, bisognerà anche vedere come andranno due cose: la recessione e il test delle elezioni europee del prossimo maggio». 
L’Istat ha ufficializzato che siamo in recessione: perché gli elettori italiani sembrano non curarsene e non ne danno responsabilità all’esecutivo? 
«Per almeno tre ragioni, credo. Primo: l’italiano medio dell’Istat se ne infischia, almeno finché la crisi non gli presenta il conto direttamente nel tinello di casa, sotto forma di mutui più cari, licenziamenti, maggiori tasse, e così via. Secondo: dopo 10 mesi passati pericolosamente, con perdite virtuali (in azioni e obbligazioni) che, dal 4 marzo, sono arrivate a toccare i 200 miliardi di euro, da un paio di mesi le cose si stanno raddrizzando; secondo i calcoli della Fondazione David Hume, negli ultimi 2 mesi c’è stato un recupero di circa 100 miliardi, che riporta la situazione più o meno al livello di quel che era al momento di insediamento del governo. Ma la ragione più importante è la terza. Credo che una parte non piccola dell’elettorato non attribuisca il peggioramento della congiuntura economica a questo governo, ma lo imputi ai governi precedenti, oltre che alla congiuntura negativa dell’Europa nel suo insieme». 
E hanno ragione, gli elettori, a dare la colpa più a Padoan che a Tria? 
«Sì e no. Se siamo in recessione non è colpa dell’attuale governo, ma tutto fa pensare che ci resteremo più a lungo del necessario proprio per la scellerata politica economica di questo esecutivo, che si preoccupa moltissimo di aumentare il consenso (quota 100 e reddito di cittadinanza) ma non spinge la crescita (pochi investimenti, pochissima flat tax)». 
Che cosa può far saltare il feeling tra elettori e governo? 
«Uno scenario possibile è che, con l’arretramento del Pil e dell’occupazione, la Lega cominci a pagare un prezzo per non aver varato la flat tax, e piuttosto che continuare a perdere consensi preferisca tentare l’avventura elettorale, trascinando nell’impresa Berlusconi e Meloni. E tuttavia lo scenario più probabile mi continua a sembrare quello di un patto di potere che regge abbastanza a lungo. La cecità della sinistra sul problema migratorio è sufficiente a tenere saldamente attaccati al carro di Salvini e Di Maio un pacchetto di milioni di voti». 
Lo scontro sulle autonomie regionali è serio: ritiene che la divisione Nord-Sud del governo possa giocare un ruolo decisivo nella rottura, o nella paralisi? 
«Sì, ormai Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna formano un blocco di interessi molto compatto, che potrebbe amplificare le tensioni fra Lega e Cinque Stelle, più ancora della Tav». 
Come spiega il calo di M5S e il raddoppio dei consensi leghisti? 
«Non credo che i Cinque Stelle abbiano perso smalto perché avrebbero tradito qualche promessa più o meno demagogica e avventata, tipo Ilva e grandi opere. Secondo me i Cinque Stelle hanno perso voti per lo stesso motivo per cui ne ha persi Forza Italia e non ne recupera il Pd: il magnete Salvini ruba voti a tutti, perché è l’unico che sul problema dei migranti ha una posizione chiara, comprensibile a tutti. La gente non ne può più dei sottili distinguo delle forze più responsabili. Può dispiacere a qualcuno (a me dispiace, ad esempio), ma lo capisco: la realtà è che la linea umanitaria delle opposizioni viene percepita come una resa al ricatto dei naufragi».
Salvini ha ulteriori margini di crescita?
«Non credo, anche se qualche sondaggista lo dà al 42%. Per me, nel voto reale, Salvini vale fra il 30 e il 35%». 
Gli italiani nel privato sono accoglienti, perché allora stanno tutti o quasi con Salvini? 
«Ma per la stessa ragione per cui si pensa che la criminalità sia in aumento in Italia, ma non nel proprio quartiere. E questa ragione è che tutti usiamo un doppio registro, personale e politico: sul piano personale posso avere il massimo di benevolenza verso gli stranieri che entrano nella mia vita, ma sul piano politico penso che in Italia si debba poter entrare solo legalmente. Non c’è contraddizione fra l’umanità davanti al fatto compiuto dello straniero che mi trovo davanti, e il rigore che pretendo dal governo per gestire i casi futuri. Purtroppo la mente progressista è così chiusa che non riesce a cogliere questa basilare distinzione. Questa chiusura, a sua volta, fa sì che la domanda di rigore venga sistematicamente tacciata di disumanità, come se chi pretende la fine degli sbarchi fosse pronto a lasciar annegare un naufrago». 
Calenda ha proposto a tutti gli europeisti di confluire in un’unica lista alle Europee. Ma la chiamata alle armi contro Salvini non rischia di rivelarsi un enorme favore elettorale per il leader della Lega? 
«Sì, per me è uno sbaglio enorme. Peggio del Fronte popolare del 1948. Anche perché siamo al paradosso: fatto nel 2019, un fronte degli oppositori di questo governo nazional-populista sarebbe semplicemente un fronte anti-popolare. Una vera catastrofe comunicativa». 
Ai grillini conviene votare l’autorizzazione a procedere contro Salvini? 
«Forse sì, se non vogliono perdere altri pezzi. Però penso siano più interessati a conservare il potere, quindi faranno tutto quel che risulterà necessario per non far cadere il governo».
Com’è possibile che ancora una volta la vita di un governo si giochi sulla giustizia? Ai tempi di Berlusconi c’erano le aziende, ma ora si processa il leader che non piace per una decisione politica: siamo ancora al governo dei magistrati? 
«Sì, lo siamo. La magistratura in Italia gode di una ingiustificata rendita di posizione, che le deriva dal trovarsi accanto a una classe dirigente indifendibile, in un Paese percorso dal risentimento e assetato di vendetta». 
In questa legislatura c’è spazio per un governo M5S-Pd in caso di rottura dell’alleanza gialloverde? 
«Penso di no, a meno che Renzi dia disco verde ai suoi. Una cosa che potrebbe succedere solo in una situazione di emergenza, in cui liberarsi del tiranno Salvini fosse diventata una priorità assoluta». 
Il reddito di cittadinanza non sarà come promesso e andrà anche a immigrati e lavoratori in nero: ritiene che si rivelerà la tomba di M5S? 
«No, non credo. Proprio la possibilità di cumulare reddito di cittadinanza e lavoro in nero (come già oggi accade con i vari sussidi di matrice Pd) aumenterà i consensi al movimento nelle regioni meridionali, ed è arduo pensare che i consensi guadagnati nel Sud risultino minori di quelli persi al Nord, dove il Movimento Cinque Stelle è più debole». 
Perché ai grillini sono perdonati gli affari dei papà Di Maio-Di Battista, la casa popolare della mamma della Ruocco, i finti curriculum di Conte e tutti i peccatucci che stanno emergendo? 
«Perché il popolo lo sa benissimo che non ci sono differenze genetiche fra destra e sinistra, o fra populisti e anti-populisti. Tutti sono tentabili dal demonio dell’interesse personale, solo che “di quegli altri ci siamo stufati, adesso vogliamo provare questi”». 
Perché la sinistra insiste così sull’immigrazione pur sapendo che è un tema perdente? «Una spiegazione razionale, cioè basata su calcoli, interessi, progetti, non saprei trovarla. Mi viene da pensare che sia un vero e proprio baco della cultura progressista, una sorta di difetto del software illuminista: quando ragioni secondo certi schemi, quando ti misuri solo con chi la pensa come te, il punto di vista altrui non riesci proprio a vederlo. Insisto: non è che non vuoi, non ci riesci». 
Il Pd per derenzizzarsi torna indietro alla sinistra pre-dalemiana: è una mossa sensata?
«No, è insensata, perché non è quello il problema. Se la crisi della sinistra fosse che è andata troppo a destra, Leu avrebbe preso una vagonata di voti. Il problema della sinistra è che non capisce che, se vuole rappresentare i ceti popolari, le periferie, gli esclusi, deve dargli esattamente quel che gli promettono Lega e Cinque Stelle: più sicurezza, meno immigrazione, più welfare». 
Calenda è bravo, ma non mette d’accordo nessuno e lo voterebbero ancora meno: dove sbaglia? 
«Calenda è un politico serio, con una marcia in più nella comprensione dei problemi e della complessità delle soluzioni. Per come la vedo io, il suo errore è molto semplice: crede che il problema sia salvare il Pd, non arricchire in modo sostanziale l’offerta politica del campo progressista, mettendo sul mercato elettorale marchi chiaramente distinti dal Pd. Se Calenda trova il coraggio di fare un suo partito, lo voto subito, se fa un restyling del Pd tanti saluti». 
La tattica delle opposizioni di terrorizzare la popolazione esasperando i toni e dando ai governanti dei fascisti o degli incapaci non ha presa. Perché? E cosa suggerisce alla sinistra per rianimarsi? 
«La sinistra dei suggerimenti se ne infischia, se vengono da persone estranee a uno dei suoi clan o dei suoi salotti. Meglio astenersi, tanto fanno l’unica cosa di cui sono capaci: continuare come se nulla fosse successo. Del resto io sono la prova vivente della impermeabilità del mondo di sinistra: le sembra normale che quel che pensa una persona di sinistra come me interessi solo i quotidiani non di sinistra? Eppure è così, da sempre…». 
Crede possibile la nascita di un movimento o partito cattolico, come auspicato dalla Cei? E cosa pensa dell’invito ai fedeli a impegnarsi in politica per contrastare sovranisti e populisti? 
«Secondo il mio modesto parere, la Chiesa farebbe meglio a occuparsi delle anime, lasciando in pace gli elettori. Anche perché una delle fonti dei nostri guai è precisamente l’eticizzazione dei problemi politici, ovvero l’incapacità di distinguere il piano delle scelte morali e il piano delle scelte di governo». 
Ritiene che la Ue sia in grado di riformarsi e che i mea culpa della classe dirigente europea siano sinceri? 
«Penso che i mea culpa siano insinceri, e che la Ue stenterà a riformarsi. E questo non per cattiva volontà, ma perché – in presenza di interessi radicalmente divergenti – l’architettura di governo dell’Europa non può che portare alla paralisi». 
Come cambieranno gli equilibri in Europa? 
«Penso che dalle prossime Europee non uscirà una maggioranza populista-sovranista, e che l’esperimento italiano sia un unicum, reso possibile dal fatto che i Cinque Stelle non sono né di destra né di sinistra, mentre nel resto d’Europa alla destra populista spesso si affianca una sinistra altrettanto populista, ma difficilmente alleabile con la prima. Gli unici esiti verosimili mi paiono due: un governo dei popolari, con l’appoggio dei liberali e di un certo numero di formazioni di destra, una grande coalizione con i popolari, i liberali, i socialisti e la sinistra radicale».