il Fatto Quotidiano, 4 febbraio 2019
Al Bano e i social: «Un mondo di merda»
Qualcuno ci sta per forza, per promuovere sé stesso, i suoi film o i suoi dischi. Qualcun altro, come Gianni Morandi, sceglie di aver pazienza e di rispondere con cortesia anche ai messaggi meno educati. Altri ancora hanno preferito rinunciare. “Dopo un infarto, una ischemia, un edema alle corde vocali, ci mancava solo questa guerra inutile, disgustosa e vergognosa”, ha scritto due anni fa Al Bano, annunciando l’addio a Facebook e agli altri social. Colpa di insulti e provocazioni sotto ad ogni post, riferiti soprattutto alle sue vicende amorose.
Al Bano, quasi due anni senza Facebook. Ha mai la tentazione di tornare?
No, non mi manca: è un’espressione di questo secolo e io sono nato nel 1943, c’era ancora la Seconda Guerra Mondiale. Sono cresciuto con altre cose, altro che Insta, Google, twit, mamma mia! Ma che devo dire, è la realtà di oggi e bisogna accettarla.
Lei però se ne è andato.
La società dell’anonimato ha preso il sopravvento e succedono cose indigeribili: insulti, cose squalificanti per il genere umano. E siccome io ancora credo nel genere umano, vorrei vedere umanità anche da chi non conosco o non so che faccia abbia.
Si rende conto di essere una mosca bianca.
Per tanti i social sono diventati un’ossessione, sempre lì attaccati allo schermo. Senza dimenticare la privacy, che ormai è totalmente abbattuta. Il mio non è un allontanarmi per un atto di superiorità, me ne guarderei bene, ma nella merda non mi piace stare e quello è un mondo di merda.
Non crede di essere un po’ troppo critico? Diversi suoi colleghi lo usano come strumento di lavoro.
È il segno che il mercato della musica, come quello di molti altri settori, è drogato e troppo condizionato da questi mezzi. Per fortuna posso farne a meno.
Quindi dobbiamo rimpiangere i vecchi tempi senza social?
È questione di voler guardare il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Di sicuro Facebook ha accorciato le distanze della comunicazione, ma lo scotto da pagare è stata la qualità dei contenuti, l’oggetto di queste comunicazioni.
Lei gestiva direttamente il suo profilo Facebook?
No, io ho a malapena un telefono: non sono capace e non ho mai voluto imparare. Se ne occupavano i miei figli e persone del mio ufficio. Ma seguivo, ogni tanto mi facevo stampare i messaggi che ricevevo.
E quelli le hanno dato fastidio?
Ci sono troppe persone con problemi esistenziali che si sfogano, producendo uno squallore unico. Ma io dico: conosci il mio nome, forse conoscerai le mie canzoni, ma come fai a sapere chi sono davvero per insultarmi?
Il suo collega Gianni Morandi ha un approccio zen, cerca di moderare i più esagitati.
Se si tratta di un dialogo io sono d’accordo, ma quando ci sono le offese no. Quella è la fabbrica gratuita di insulti a tutto spiano, almeno per come l’ho vissuta io. Hanno attaccato persino i miei figli più piccoli, senza preoccuparsi del male che potevano fare a me o a loro.
Come si possono educare gli odiatori online?
Basterebbe un pizzico di attenzione verso il cristianesimo, perchè non c’è insegnamento diverso da quello di non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te stesso. Quando manca questo valore cristiano, si eleva la bestia.
Se non cambiano le cose, mai più Facebook dunque.
Non so quanto è lunga la mia vita ma non voglio spenderla per imbottirmi di quelle porcherie. Per carità, ogni decade ha la sua specialità: bisogna sopportarla con la speranza che si rinsavisca al più presto.