La Stampa, 4 febbraio 2019
Storia di Joe Di Maggio
Il berretto da baseball dei New York Yankees portato sopra una giacca più grande del dovuto rende la foto di rito vagamente ridicola, ma il momento è storico. Joe Di Maggio ha il contratto sopra il tavolo, la gigantografia dello stadio dietro e una cifra stratosferica davanti: 100.000 dollari. Primo salario a cinque zeri per uno sportivo professionista.
È il 7 febbraio 1949 e non ci sono ancora i diritti tv: strapagare un campione è strano e Di Maggio ha 34 anni, ha ancora solo due stagioni a disposizione e, più o meno, ne è cosciente. Eppure, proprio quando dovrebbe aver superato il meglio, diventa l’atleta più pagato di sempre e innesca un meccanismo al rialzo che è ancora in corso. Il fenomeno non segue la logica di mercato, vale per quanto rende ed è un indotto che va molto oltre i risultati.
Quello è il primo contratto moderno. Finita la guerra si iniziava a pensare al baseball come un’industria e Di Maggio è la sola faccia possibile. Prima di lui c’era stato Babe Ruth nella classifica dei più pagati, ma il suo compenso da 80 mila dollari era stato tagliato più della metà dopo l’infortunio, era precario, posticcio. Di Maggio chiede e ottiene tutt’altro, grazie a una considerazione che aveva solo lui e a una popolarità con cui era impossibile competere.
Fuori criterio
Di Maggio aveva un giorno dedicato, aveva (e ha) un record di 56 gare consecutive con almeno una battuta valida, aveva fascino, avrebbe sposato Marilyn Monroe ed era partito dal nulla: il figlio di immigrati italiani, di pescatori siciliani. Un dollaro al giorno per la consegna dei giornali, 100 mila per essere il giocatore decisivo: salto epocale in una ventina d’anni.
Era una rivoluzione ma siccome portava il suo nome è sembrato un normale scatto in avanti e oggi è difficile capire quanto lontano dalla media fosse quella paga. Gli accordi per il broadcasting sarebbero arrivati solo nel 1950, il concetto di stipendio minimo e di conseguenza di un rapporto che partiva da un prezzo comunque fisso per ogni nome in rosa e andava a salire, sarebbe diventato legge solo negli Anni Sessanta e gli agenti destinati a far lievitare i prezzi avrebbero iniziato a fare sul serio nel 1975. Settant’anni fa non c’era un solo parametro a cui legare i 100 mila dollari. Non avevano senso eppure diventarono il punto di riferimento.
Guadagnare come Di Maggio era il sinonimo del successo assoluto, il signore del baseball era diventato ricco a partire da zero e aveva superato indenne la grande depressione e la guerra, non era un’icona e neanche un uomo immagine, era trattato come se avesse poteri speciali. Nel 1949 saltò diverse partite per i suoi acciacchi fisici però riuscì comunque a fare la differenza, a vincere. C’erano giorni in cui riusciva a malapena a camminare e poi partite in cui univa forza ed eleganza in gesti ineguagliabili. Pagato una cifra astronomica perché era sublime, un’idea che non esisteva prima di lui. Un pensiero a cui adesso siamo perfettamente abituati e che anzi lo sport insegue. Il fenomeno, il top player, il nome preso per superare i limiti e retribuito di conseguenza: Messi, Ronaldo, LeBron, Federer. Il fuoriclasse che ha un colpo in più è in realtà figlio del tizio che di colpi ne ha piazzati 56 di fila.
Parola di Marilyn
Due anni dopo quel contratto stellare, Joe Di Maggio lascia il baseball, chiude con lo sport: è fisicamente a pezzi. Come direbbe Lindsey Vonn oggi, il suo corpo è «oltre ogni possibilità di essere riparato», ma la sua aura funziona ancora. Resta il giocatore speciale, anche fuori dal campo, senza più appartenenza. Quando Di Maggio incontra Marylin Monroe al ristorante italiano Villa Nova di Los Angeles, lei sa che è famoso ma non sa perché. Non segue il baseball e non ricorda più da che sport arriva il divo che tutti fissano. Di sicuro è lui a essere una star in quel pranzo del 1951. Lei, poi, scriverà: «Aveva il carisma di un uomo del congresso». Il potere di chi sa come far succedere le cose.
Come Michael Jordan diversi decenni dopo, capace di strappare un’annata da 30 milioni di dollari: spostati dal 1996 a oggi sarebbero circa 47 quindi ancora il salario più alto mai visto. Come Messi, una pulce che ha una clausola di rescissione da gigante. Gente capace di magie e consapevole di valere numeri fuori dal comune grazie a quel primo colpo firmato Joe Di Maggio.