La Stampa, 4 febbraio 2019
L’ultimo Sanremo di Loredana Berté. Intervista
Una canzone sulle aspettative, e soprattutto le aspettative sue, di Loredana Berté, di ritorno a Sanremo dopo sette anni durante i quali è poco a poco risorta alla vita e al successo con Non ti dico no. È pimpante, positiva e un poco tesa.
Cara Loredana, è vero che sarà il suo ultimo Festival?
«Voglio chiudere in bellezza il cerchio di 40 anni di Sanremo. Sono passati 13 anni prima che io sia riuscita a fare questo ultimo album, Liberté: aggiungendoci il brano in gara, voglio fare una promozione degna di ciò che Sanremo ti dà. Ma certo non smetterò di cantare: a fine marzo ricomincia il tour con la mia band. Mi trovo bene con loro e spero loro con me per molti anni ancora. Il palco è il mio sfogo».
Come si sente, dopo il successo estivo con i Boomdabash? È nervosa o tranquilla?
«Abbiamo asfaltato tutti e ci siamo divertiti molto. È stata una bella rivincita personale, mi sono tolta qualche sassolino. Anche se mi sono ancora rimasti dei massi. Mi sento ansiosa, comunque».
«Cosa ti aspetti da me», la sua canzone in gara, parla di aspettative, con il testo di Gaetano Curreri.
«Appunto. Dietro la mia ansia, ci sono aspettative alte del pubblico, della stampa, delle radio. C’è ansia da prestazione, pensi se il microfono non funziona. Ho dovuto rifare più volte le prove per avere un audio decente, le telecamere si alzavano davanti al gobbo e io non vedevo più le parole. Vorrei non deludere quelli che mi vogliono bene, non vorrei soprattutto deludere Mimì».
Ma sua sorella le voleva bene, lo sa.
«Facevo troppi casini, sono fatta così. Spero di avere il tempo di scaldarmi la voce, spero di riuscire a non pensare che sono a Sanremo, ma al Gay Village...».
Inevitabilmente si pensa al pancione che sfoggiò sul palco dell’Ariston. Come vestirà, se si può chiedere?
«Non indosserò abiti nuovi. Riciclo abiti molto carini che ho già messo, sarò vestita alla Berté di tutti i giorni. Così dovranno rassegnarsi e concentrarsi finalmente sulla canzone».
Ecco, torniamo alle aspettative della canzone...
«Se ci pensa, per tutta la vita siamo messi sotto pressione. Soprattutto in un rapporto a due, come nel caso del testo, quando non sai cosa vuole l’altro c’è sempre il rischio delle delusioni. Chi ha avuto una famiglia, fin da piccolo è stato sottoposto alle pressioni su nuoto o danza e studio. Ho chiesto un pezzo a Curreri e mi ha mandato questo, non facile da cantare: ci vuole concentrazione massima, non ci si deve distrarre. La canto meglio dal vivo. Escono il pathos, la malinconia, il vissuto...».
Le donne in gara al Festival quest’anno sono solo 6. Non pensa siano un po’ poche?
«Di parlare della direzione artistica non ho voglia. Sono contenta, devo pensare a me, debbo cantare. Le altre non so nemmeno chi siano, mi vengono in mentre solo Patty Pravo e Arisa. Nel cast molti mi sono proprio sconosciuti».
Lei, Gianna Nannini e Nada siete le tre donne rock della scena italiana. Che cosa vuol dire ancora oggi essere donna rock?».
«Oggi vuol dire vivere uno stile di vita, non solo un ammasso di suoni quando fai il disco... Noi siamo vissuti per strada, mai nessuno ci ha detto rientra a casa alle 8. È un vissuto che ci è capitato, e ci siamo dovuti adattare anche a volte facendo la fame. Per andare a fare i provini a Milano si partiva con l’autostop. Dieci anni di autostop abbiamo fatto io e Mimì, prima di fare un provino».
Le è piaciuto «Io sono Mia», il film su sua sorella che andrà in onda il 12 su Raiuno?
«La protagonista Serena Rossi è strepitosa, in alcune scene sembra di vedere lei. Ha studiato i dettagli, i vezzi, come si muoveva i capelli, come parlava, addirittura alza le labbra sui denti come lei, quando canta. Proprio la grinta di Mimì».
Le piace il rap? Ce n’è, a Sanremo...
«Mi piace moltissimo, io naturalmente parto da Tupac e Notorius Big, ma purtroppo a quel livello non c’è nessuno, infatti sono stati ammazzati. Bene che ci siano, al Festival: il linguaggio metropolitano sale finalmente sulla ribalta».