La Stampa, 4 febbraio 2019
Giappone, anziani spinti al crimine
Chi pensava che il Giappone invecchiasse a un ritmo vertiginoso (nel 2030 un terzo della popolazione sarà over 65) forse è perché non ha mai gettato un’occhiata nel microcosmo delle carceri del Paese dove il tasso di crescita della popolazione anziana negli ultimi anni è lievitato a un ritmo doppio di quello della popolazione generale. Se negli Anni 70 la percentuale degli anziani con le divise «a strisce» (che qui sono tinta unita rosa e blu, rispettivamente per donne e uomini) era un mero 2,5%, negli ultimi anni sfiora il 20% (nella prefettura di Tokushima uno su quattro).
I crimini più comuni sono i piccoli furti, il conto al ristorante non saldato, il viaggio a scrocco sul treno. Le pene vanno da 6 a 4 anni e per molti detenuti l’ansia alla lettura della sentenza non ha nulla a che fare con la durata della pena in sé ma si proietta oltre la condanna da scontare, quando la vita di tutti i giorni tornerà a farsi sentire in tutto il suo vuoto di senso.
Infatti se il carcere offre tre pasti caldi garantiti tutti i giorni, medicine gratuite, dottori e assistenti a volontà, allora la vera prigione diventa quella là fuori, fatta di bollette da pagare, le spese del medico che non si possono procrastinare, e l’incurabile solitudine (muoiono così, kodokushi, 30.000 anziani l’anno).
Per di più, se hai passato i 65 anni, un comodo letto, al contrario dei «normali» detenuti che solitamente si devono accontentare di un semplice futon su tatami, non te lo nega a nessuno: infliggere agli anziani affetti da cronici mal di schiena l’obbligo di ripiegare ogni giorno il futon equivarrebbe ad aggiungere un ulteriore inutile pena. A pranzo, oltre carne e pesce, servono anche il rice porridge cucinato appuntino per quei palati che non possono più sfoggiare una solida dentatura.
Il Paese dei manga sembra un fumetto: quello in cui il gradino più basso della dignità umana diventa la prima delle sefety net, reti di sicurezza. Le pensioni, per molti che continuano a riceverle tra le sbarre, sono infatti talmente misere (55.000 yen 430 euro) che l’alternativa di passare qualche mese al caldo e al sicuro (tra gli anziani molti sono ex senzatetto) diventa persino «atarimae», ovvia. Non sono pochi gli anziani che compiono furti mirati per finire in questa «casa di cura» alternativa.
Nonostante l’alto tasso di attempati galeotti le carceri vengono disciplinate con l’inflessibilità tipica di un penitenziario (cura delle uniformi e pulizia delle stanze) anche se la semplice messa in riga dei detenuti, tra acciacchi fisici e mentali, può richiedere anche dieci minuti. Uno degli incarichi che ogni secondino giapponese non può snobbare di questi tempi non è quello di sedare risse o fare la voce grossa ma curarsi di aprire, all’ora dei pasti, quelle minuscole porzioni di condimento contenute in involucri trasparenti la cui foratura è possibile solo attraverso un preciso e mirato strappo che per un over 70 con le mani rigide e anchilosate può trasformarsi in una soluzione indistricabile pari a un cubo di Rubik.
Ma per gli stoici agenti di custodia questa non è neppure la più seccante delle incombenze, piuttosto lo è quella di mantenere l’ordine. E non per via di soggetti irascibili e indisciplinati come verrebbe naturale pensare in un luogo che vede convivere uno accanto all’altro truffatori, ladri e assassini, ma perché spesso il minuto dopo che un ordine è stato impartito molti tra i «senior» o lo dimenticano o fanno qualcosa che non ha nulla a che fare con quello che era stato loro chiesto.
Gli anziani carcerati che non riescono a tenere il passo con il resto della camerata vengono introdotti nel yougokoujo, una sorta di detenzione separata, dove gli inquilini passano il giorno a comporre origami e omamori, a rodare sedie e tavolini, anche se nelle ore post prandiali, confessano testimoni, la siesta diventa l’attività più apprezzata. Ma dormire nelle prigioni del Sol Levante dove il lavoro è d’obbligo è un tabù. Bisogna infatti giustificare agli occhi dei contribuenti che i soldi spesi se pur non riusciranno a ottenere il fine ultimo della rieducazione del detenuto (il tasso di recidiva tra gli anziani è altissimo, 70%) comunque saranno serviti a creare una qualche forma di ricchezza materiale, che non avrà la nobiltà del primo fine ma varrà pur sempre qualcosa (gli oggetti costruiti dagli anziani vengono rivenduti in precisi giorni dell’anno in varie città e anche in Rete: ci sono 2200 aziende che si avvalgono di questi «artigiani al gabbio»).
Ai carcerati malati di demenza che dopo furti reiterati - al primo furto si chiude un occhio, al secondo scatta una sanzione, dal terzo in poi non c’è clemenza che tenga - finiscono in carcere li aspettano lavoretti manuali tassativamente ripetitivi, come levigare con una carta vetrata un incastro di legno da montare. Quando gli viene chiesto a cosa stanno lavorando non sanno cosa rispondere, ma serve pur sempre ad ammazzare il tempo.
Ma la demenza senile è una doppia causa di carcerazione per i più anziani. Ci sono infatti detenuti che per disperazione arrivano ad uccidere il partner di una vita malato di Alzheimer. Col tempo la coppia che aveva regolato i propri ritmi sui reciproci bisogni si vede venir meno le quotidiane certezze, e quello che prima appariva come un fidato sostegno per assorbire i malanni dell’incipiente senilità e condurti con serenità verso l’ultimo porto diventa un fardello ogni giorno più pesante. A quel punto la voglia di mettere fine al supplizio finisce facilmente per confondersi con una catarsi.