La Stampa, 4 febbraio 2019
Intervista a Farah Diba, vedova dell’ultimo Scià di Persia
Farah Diba è la vedova di Mohammad Reza Pahlavi, ultimo Scià di Persia (ha governato dal 1941 alla Rivoluzione islamica dell’11 febbraio 1979). Figlia dell’alta borghesia, è diventata imperatrice, dopo essersi sposata nel 1959. È madre di Reza Ciro, vive in esilio da 40 anni.
La ringrazio per avermi accolto. Comincerei la nostra conversazione chiedendole
del ruolo che ha avuto lo Scià in Iran.
«Benvenuto. Credo di poterle dire che quel che resterà nella storia è il patriottismo e l’umanità dello Scià. Ricordo che quando Gunnar Myrdal, Premio Nobel per l’Economia, venne in Iran, disse: “Lo Scià è un filosofo”. Quando lo Scià giunse al potere, l’Iran era un Paese sottosviluppato. E quando il figlio, cioè mio marito ascese al trono, l’Iran, Paese ricchissimo per tradizioni e cultura, ritrovò la sua posizione nel mondo. Lo Scià iniziò a lavorare in tutti i settori: educazione, industria, Università, sanità. Negli Anni Venti del XX secolo, il Paese era molto arretrato, negli Anni Settanta era forse l’unico del Terzo mondo a registrare progressi di grande portata. Avevamo relazioni amichevoli con i nostri vicini e con tutti i Paesi del mondo. Lo Scià sapeva dove andava il mondo, sottolineava l’importanza della Cina e dell’India. Aveva previsto che, se un giorno l’Iran avesse avuto problemi, le ripercussioni avrebbero riguardato l’intera regione. Così avvenne».
Dopo 40 anni di Repubblica islamica, per la prima volta dei ragazzi hanno invocato il nome di suo marito, di suo suocero, chiedendo perdono per avervi allontanato? Cosa prova?
«È molto toccante. Il mondo della comunicazione con Internet permette una migliore informazione e ha probabilmente spinto i genitori a parlare ai figli del mondo pre-rivoluzionario. Molti ragazzi pensano: è colpa dei nostri genitori, se siamo in questa situazione».
Qual è la differenza tra il vostro Iran e quello attuale?
«Parto dalla situazione delle donne: erano libere e avevano il diritto di essere elette. Io stessa sono stata incoronata Imperatrice. Siamo stati il secondo Paese al mondo ad aver avuto un ministro donna, che si occupava della questione femminile. Abbiamo avuto ambasciatrici e parlamentari donna. Le donne erano libere di vestirsi come volevano, il velo non era quel velo-uniforme che è diventato oggi. Si faceva molto per l’Iran in molti settori, soprattutto per l’educazione. Le scuole, come le Università, erano libere e gratuite. Reza Scià rispettava l’ambiente: i pozzi erano nazionalizzati e nessun altro poteva fare perforazioni e crearne altri. Pensi solo alla catastrofe provocata dalla Repubblica islamica, che ha gestito malissimo la rete idrica causando numerose siccità. In ultimo, il rispetto di cui l’Iran godeva nel mondo».
Sono passati 40 anni da quando ha lasciato l’Iran con suo marito. Cosa le manca di più?
«Non è mai passato un giorno, in cui non abbia pensato alle sofferenze della mia gente in Iran. Ora ci sono famiglie che non possono permettersi di mangiare carne per due settimane. Il mio cuore sprofonda nel dolore quando sento che ci sono persino dei bambini che si suicidano per la povertà. Poi, la dipendenza dalla droga, la prostituzione, operai non pagati per mesi, insegnanti pagati male, giornalisti, intellettuali, studenti in prigione. Infine, la corruzione. Mi chiedo come sia possibile governare in questo modo, con una dittatura».
I suoi ricordi più vivi?
«Quella che chiamavamo Rivoluzione Bianca del 1963: una serie di riforme introdotte dallo Scià per gli operai, per mettere fine al feudalesimo, per i contadini, le donne e la scuola. Poi, nel 1973, tutto il controllo del petrolio era nelle nostre mani: estrazione, raffinazione, vendita. Ricordo anche l’attacco all’Iran da parte dell’Iraq, non riuscivo a credere alle mie orecchie quando lo appresi».
Con la rivoluzione cadde una monarchia che aveva regnato per 2500 anni. Avete fatto degli errori?
«Ma come si è potuti passare da Ciro il Grande a Khomeini? È incredibile! Rimpianti? Si possono fare tante ipotesi. Ora è troppo tardi ed è un esercizio inutile. È meglio pensare all’oggi, a come si può cambiare questo regime. Come ho detto, l’Iran era un Paese che si sviluppava in tutti i sensi. Sicuramente vi sono stati degli scontenti e noi non abbiamo saputo gestirli. Devo poi dire che l’Occidente ha avuto un gran ruolo in quel che si è verificato. Abbiamo alzato troppo la voce! Avevamo troppo potere nella regione e soprattutto dopo che l’Opec ha aumentato il prezzo del petrolio nel 1972, sono iniziati gli attacchi dei giornali e dei Paesi esteri».
Ci spieghi meglio.
«Volevamo avere il controllo del Golfo Persico, dell’Oceano Indiano. La cosa non è piaciuta a molte potenze estere, ma ritengo che la cosa più importante sia stato l’aumento del prezzo del petrolio».
Cosa si sente di dire oggi ai suoi compatrioti iraniani?
«Quel che dico sempre è di avere speranza e di non perderla. Questo è molto importante, nonostante la dura repressione. La luce vincerà le tenebre e l’Iran rinascerà dalle sue ceneri. Mio figlio, il Principe Reza, che ha veramente dedicato la sua vita all’Iran per trent’anni, è in contatto con gli iraniani attraverso i social media. Crede a una democrazia laica, ai diritti dell’uomo, della donna, alla libertà di religione e all’integrità territoriale dell’Iran. Io, nella mia situazione, dico ai miei compatrioti di non perdere la speranza, la libertà arriverà».
Suo figlio sogna, e in che modo, di tornare in Iran?
«Come le dicevo è in contatto con iraniani, sia all’interno, sia all’esterno del Paese. Pensa che tocchi agli iraniani scegliere liberamente se vogliono una monarchia o una repubblica. Ovviamente speriamo tutti di rivedere il nostro Paese».
Che ne pensa del forte inasprimento delle sanzioni contro l’Iran?
«Mah, in verità credo che finiscano per colpire soprattutto il popolo».
Qual era il rapporto che avevate con la religione? Il clero iraniano in fondo è stato uno dei grandi fautori della rivoluzione islamica.
«Il Re era credente, pur non praticando intensamente, non pregando cinque volte al giorno o facendo il digiuno del Ramadan. Ha avuto una buona relazione con il clero per anni. La relazione si è però incrinata dopo la Rivoluzione Bianca, con la riforma agraria e la modifica della situazione della donna. Fino ad allora molti religiosi sostenevano il Re. È una storia lunga, vi erano molti gruppi che erano contro la monarchia: i comunisti, i Mujaheddin del Popolo e altri ancora. Hanno pensato che con “Allah u Akbar” e con Khomeini avrebbero sconfitto la monarchia e avrebbero preso il potere, mentre in realtà Khomeini ha approfittato di loro e ne ha assassinati a migliaia. Anche persone colte e intellettuali hanno pensato che Khomeini avrebbe governato bene, il che è francamente incredibile».