La Stampa, 4 febbraio 2019
Il nuovo super missile iraniano
L’Iran sfida la comunità internazionale, mostrando un nuovo missile con la capacità di colpire a una distanza di 1.300 chilometri, e il presidente Trump risponde annunciando che lascerà le truppe americane schierate in Iraq, proprio per avere la possibilità di tenere meglio sotto controllo le attività militari di Teheran.
Sabato la Repubblica islamica ha celebrato il quarantesimo anniversario della rivoluzione khomeinista del 1979, e per l’occasione ha mostrato la sua nuova arma. Il missile si chiama Hoveizeh, appartiene alla classe Soumar, e ha una gittata di 1.300 chilometri. Ciò significa che sarebbe in grado di raggiungere facilmente diversi obiettivi in Europa, oltre a quelli in Medio Oriente come Israele o Arabia Saudita. Il ministro della Difesa, Amir Hatami, ha commentato così le sue capacità: «Questo missile cruise ha bisogno di un tempo molto ridotto per essere pronto al lancio, e può volare a bassa quota». Dunque un’arma rapida, facile da usare, e difficile da intercettare.
La questione dei vettori è cruciale, perché rappresenta una della giustificazioni più importanti usate dagli Stati Uniti per abbandonare l’accordo nucleare. Questa intesa infatti riguarda solo lo sviluppo delle armi atomiche, e non limita quello dei missili. Anche i Paesi europei che vogliono tenere in vita l’accordo nucleare riconoscono che questo è un problema, ma sostengono che andrebbe affrontato in un contesto diverso. Washington invece vuole una nuova intesa complessiva, che renda permanenti le limitazioni allo sviluppo delle armi atomiche, e includa anche i missili.
Il presidente Trump ha risposto con un’intervista alla televisione Cbs, in cui ha detto che lascerà le truppe americane in Iraq proprio per tenere sotto controllo le attività belliche iraniane. Il capo della Casa Bianca è stato criticato per il ritiro annunciato dalla Siria, che ha portato alle dimissioni del ministro della Difesa Mattis, ed è stato visto come un regalo alla Russia e alla Turchia. A questo ha aggiunto la volontà di far rientrare anche i soldati schierati in Afghanistan, spingendo il Senato controllato dai repubblicani ad approvare una risoluzione contraria ad ogni ritiro affrettato. Durante la campagna elettorale Trump aveva criticato duramente l’intervento contro Saddam deciso dal predecessore repubblicano Bush, ma ieri ha risposto così alla Cbs: «Una delle ragioni per cui voglio tenere le basi in Iraq è guardare un po’ all’Iran, perché l’Iran è un problema reale». L’intervistatrice gli ha chiesto se intende conservare queste capacità per avere la possibilità di attaccare la Repubblica Islamica, e lui ha replicato così: «No. Lo faccio perché voglio avere la possibilità di osservare l’Iran. Tutto ciò che voglio è la capacità di osservare». Trump si riferiva in particolare alla Al Asad Air Base dell’Iraq occidentale, che aveva visitato a dicembre, durante il primo viaggio della sua presidenza organizzato per andare a trovare le truppe stanziate all’estero: «Abbiamo speso una fortuna per quella base», quindi tanto vale tenerla aperta e usarla. Il capo della Casa Bianca ha aggiunto che alcuni soldati richiamati dalla Siria potrebbero essere trasferiti proprio in Iraq, per avere la possibilità di tornare a colpire l’Isis, se il Califfato dovesse rialzare la testa.