Corriere della Sera, 4 febbraio 2019
La prima donna al timone in Coppa America
Mai donne in barca e mai vestiti di verde (chi ha buona memoria ricorderà che fine fece lo spinnaker color smeraldo di America One, skipper Paul Cayard, nella sfida che a Auckland decise la Vuitton Cup ‘99 a favore di Luna Rossa...) sono i due stereotipi marinari incrostati di salsedine più duri a morire. Il colpo di grazia lo sferra una signora 45enne di Leiden, nel sud dell’Olanda, mamma di Kyle (6 anni), moglie di Darren (Bundock, argento olimpico nei Tornado) e datrice di lavoro di Petronilla, la babysitter senza la quale diventare la prima timoniera in Coppa America non sarebbe possibile. Il record si materializzerà in Nuova Zelanda nel 2021, quando il team The Netherlands, skipper Simeon Tienpont, potrebbe sfidare i neozelandesi detentori della brocca e il challenger of records Luna Rossa con una velista, la prima dell’America’s Cup, al timone. Carolijn Brouwer.
«Su una barca da regata non ci sono né uomini né donne, ma solo marinai – è il credo di Carolijn —. Per me la vela è sinonimo di libertà: non esistono questioni di genere in equipaggio. Esistono bravi velisti e mediocri velisti. Stop». Bellissime parole. Però in 168 anni di storia del trofeo dello sport più antico del mondo, le donne in America’s Cup si contano sulle dita di una mano. E mai alla ruota, il ruolo più prestigioso e di responsabilità. L’americana Dawn Riley, drizzista su America3 nella coppa 1992 frustrando le ambizioni del Moro di Venezia di Raul Gardini, primo vincitore italiano della Vuitton Cup. E la neozelandese statunitense di nascita Leslie Egnot, al comando di Mighty Mary, ciurma quasi interamente femminile che perse da Stars and Stripes di Dennis Conner i trials interni per decidere chi avrebbe difeso la Coppa America 1995, poi conquistata dai neozelandesi guidati da Sir Peter Blake (Russel Coutts al timone), che avrebbero strappato il trofeo agli Stati Uniti per la seconda volta in 144 anni. Fine della musica.
Con un curriculum velico di tutto rispetto alle spalle, reduce dal trionfale giro del mondo 2017-2018 sullo scafo cinese Dongfeng in un’edizione della Volvo Race che aveva imposto le quote rosa a bordo (Carolijn era trimmer), Miss Brouwer al timone della barca orange è una scelta più di peso che di marketing. «È una donna che ha sempre lottato per ottenere ciò che vuole, a costo di mettere da parte la vita privata» racconta Francesca Clapcich, triestina, una collega che conosce bene l’olandese per averci regatato contro nell’ultima Volvo Race (Clapcich era nell’equipaggio di Turn the Tide on Plastic, lo yacht ecologico della skipper britannica Dee Caffari). «Carolijn è stata brava a sfruttare un’opportunità e ha la preparazione per poterlo fare». Le classi olimpiche a Sydney, Atene e Pechino, dove fu l’unica donna nella flotta dei Tornado; poi la grande vela oceanica, che le è valsa per due volte il titolo di miglior velista (maschi e femmine) dell’anno. La signora Brouwer sa come si va a vela e gode di stima in tutto l’ambiente.
«Scelta di qualità, una notizia che mi piace» conferma da Cagliari Francesco Bruni, timoniere di Luna Rossa, in una pausa degli allenamenti in vista delle regate di ottobre e della Coppa America 2021, che l’armatore Patrizio Bertelli sogna di portare in Italia per la prima volta nella storia. «Non vedo difficoltà per una donna al timone – spiega Bruni —. Nel senso che per portare un Ac75, il nuovo monoscafo che si solleverà in volo sui foils, atleticamente non devi essere un bronzo di Riace. Tieni il timone in mano e schiacci i pulsanti. È più un lavoro di concentrazione: la vera sfida è reggere la tensione prima, durante e dopo la regata. L’unica perplessità riguarda la scarsa esperienza della Brouwer con i foils, ma non si tratta di un commento sessista: sottolineerei la mancanza di tecnica anche se si trattasse di un uomo. È vero che gli Ac75 si possono imparare, però ci vorrà tempo. E se c’è una cosa che in Coppa America non basta mai, è proprio il tempo».
Anche Bruni la conosce bene: «Siamo coetanei, abbiamo avuto un percorso olimpico simile, ricordo Carolijn ai Giochi australiani e greci. Ha una poliedricità impressionante e una determinazione incredibile: ha fatto cose che nemmeno gli uomini si sognerebbero di fare. Nel mondo della vela è apprezzata da tutti e in Olanda è un mito. Certo il consorzio olandese è appena entrato nel gioco, difficile dire dove arriverà...». E la leggenda metropolitana delle donne che porterebbero sfortuna? «Nel mio caso non esiste alcuna scaramanzia – risponde Bruni —, però è vero che sono andato in barca con persone che, in presenza di una donna, storcevano il naso». Ed è altrettanto vero che, a memoria d’uomo, sulle varie Luna Rossa in cinque arrembaggi all’America’s Cup non è mai salita una femmina: «Soprattutto quando il timoniere era napoletano!» ride il siciliano, facendo riferimento a Francesco De Angelis, skipper partenopeo nella trionfale Vuitton di vent’anni (20!) fa.
«Sono cresciuta in Brasile, a Rio. I miei genitori erano entrambi canottieri e velisti occasionali – si racconta Carolijn —. Una volta, durante una regata in 470, mamma cadde in acqua all’ultima virata e mio padre non si fermò a raccoglierla per mettere al sicuro il terzo posto! Adoro la vela e le nuove sfide: non c’è nessuna esperienza che ti porta al limite come un giro del mondo di nove mesi, un’avventura estrema da un punto di vista fisico e mentale. Mi servivano nuovi stimoli». Che potrebbero spalancare una strada a molte. «Con lo sbarco di Carolijn in Coppa America si apre uno spiraglio. I team misti potrebbero diventare una realtà come nella Volvo Race – dice la Clapcich —. Certo con i ruoli di forza, tipo il grinder, noi non possiamo competere però nelle posizioni tecniche una donna è un bel vantaggio: pesando meno, potremmo permettere ai grinder di essere più forti». Ma una Carolijn Brouwer non fa primavera: «La Coppa America rimane un ambiente chiuso, un club di vecchi ragazzi, come da definizione – riflette Francesca —. La mia sensazione è che in Italia non si smuova niente e che all’estero siano sempre un passo avanti a noi. Un po’ di apertura mentale in più non guasterebbe. Non è difficile capire che una donna a bordo, se brava e nel ruolo giusto, è un valore aggiunto».