Corriere della Sera, 4 febbraio 2019
Clint Eastwood sfida la vecchiaia
La vecchiaia ça existe si diceva una volta degli eroi capaci di continuare a tener alta la fronte nonostante gli acciacchi e gli anni. Ma dai tempi di El Dorado, dei Wayne e dei Mitchum con le stampelle, sono passati troppi anni e nemmeno un ex cowboy come Clint Eastwood sembra credere più al fascino malinconico dell’età. Anche perché il bilancio della vita non sempre è di quelli immacolati.
Almeno non lo è per Earl Stone, il protagonista di Il corriere – The Mule, veterano della Corea che si era rifatto una vita coltivando emerocallidi (fiori ornamentali che come dice il loro nome durano solo una giornata: sbocciano al mattino e muoiono la sera) ma il cui commercio era stato messo in crisi dalle vendite via Internet.
Quel ruolo è quello che ha convinto Eastwood a tornare contemporaneamente dietro e davanti la macchina da presa. Dopo Gran Torino (2008) aveva dichiarato che non avrebbe più interpretato suoi film e il passo falso con Di nuovo in gioco (2012, diretto dal suo ex assistente Robert Lorenz) doveva averlo confermato nella decisione.
Invece la storia dell’ex soldato ed ex coltivatore di fiori Leo Sharp che a ottant’anni diventa un corriere della droga – il più vecchio della storia – per il cartello messicano di Sinaloa, l’ha fatto tornare sulle sue decisioni. Regalandoci ancora una volta una di quelle prove d’attore, tutte in levare e sottotoni, che ce lo hanno fatto amare tante volte.
Sharp nel film diventa Stone e si porta dietro un passato dove l’orgoglio per il suo lavoro e un debole per inviti e convention gli avevano fatto dimenticare completamente la famiglia: la moglie Mary (Dianne Wiest) e la figlia Iris (Alison Eastwood) non vogliono neppure parlargli e solo la nipote Ginny (Taissa Farmiga) sembra disposta a passare sopra le sue troppe mancanze.
Ma più degli affetti – di cui sembra capacissimo di fare a meno – lo preoccupa il fallimento della sua attività floreale e per questo accetta di portare con il suo camioncino, dall’originario stato dell’Indiana a Chicago, le borse che gli consegnano dei messicani. Non ha mai preso una multa in ottant’anni, guida in modo prudente, non ha certo l’aria dello spacciatore (le clienti di una volta gli dicevano che assomigliava a James Stewart) ed è difficile immaginare un corriere ottantenne: il soggetto ideale per non dare nell’occhio e andare avanti e indietro con il baule pieno di cocaina.
Il film racconta i suoi viaggi (con tutti i possibili inconvenienti), l’incontro con il boss del cartello di Sinaloa Laton (un Andy Garcia in stato di grazia), gli scontri con le donne di famiglia ma anche la caccia che un poliziotto ostinato (Bradley Cooper) sta dando a chi rifornisce di droga Chicago: inevitabile che a un certo punto i nodi arrivino al pettine. Ma forse non è questo quello che interessa davvero a Eastwood. Perché i suoi sforzi, come regista e come attore, sono diretti soprattutto a raccontarci la vecchiaia, le sue debolezze, le difficoltà, i suoi inciampi.
Un altro regista forse avrebbe evitato le inquadrature che sottolineavano il suo passo lento e insicuro (verso la fine c’è pure una ripresa in primissimo piano dei suoi piedi che avanzano a fatica), il suo incedere ingobbito. Ci sono anche due parentesi erotiche che nonostante le battute (reggerà il suo cuore a quella prova?) producono soprattutto malinconia per chi non sembra volersi accorgere del tempo che passa. Proprio come se la regia volesse accanirsi nel sottolineare la decadenza e la vecchiaia.
Non c’è mai comprensione o condiscendenza, nemmeno quando l’età lo aiuta a cavarsi d’impaccio. E anche nel confronto finale con la moglie la presa di coscienza dei suoi sbagli rischia di arrivare troppo tardi. Come dire che l’ottantottenne Eastwood (tanti ne aveva quando ha girato il film: ne compie 89 il 31 maggio) non sembra aver alcuna compassione per l’età.
Non ne ha per sé filmandosi senza compiacimenti o «trucchi», non ne ha per il suo personaggio di cui non maschera l’egoismo e il fondo razzista (la scena con gli automobilisti neri). E nemmeno il soprassalto finale gli restituisce la dimensione mitica dei suoi personaggi passati: è solo un uomo anziano. Decisamente, la vecchiaia ça existe.