Corriere della Sera, 4 febbraio 2019
Tutti i tabù del M5s
C’è una corrente dell’antropologia francese il cui pensiero venne definito «primitivista», e che ricorda molto da vicino quello dei Cinquestelle. Non so se Di Maio e Di Battista ne hanno mai sentito parlare, forse Casaleggio padre sì. Sosteneva, sulla scia della lezione di Lévi-Strauss, che le società primitive erano più felici di quelle civilizzate, più vicine allo stato di natura. Erano società dell’abbondanza, perché bastava lavorare poco per vivere. Ed erano società del tempo libero, perché ci si poteva riposare molto.
I Cinquestelle sono tutt’altro che primitivi nella loro azione politica; anzi, potrebbero addirittura essere definiti post moderni sia per la fede nel futuro della tecnologia digitale, sia per le sofisticate tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica. Ma il loro pensiero politico può invece a buon diritto essere definito «primitivista», perché suggerisce di interrompere la via del progresso fin qui seguita dall’Occidente.
Per esempio: quando Di Battista definisce «un buco inutile» la galleria ferroviaria Torino-Lione è come se riportasse all’indietro di cinquecento anni la storia d’Europa. Risale infatti al 1479 il primo «buco» realizzato dall’uomo nelle Alpi, che infatti ancora oggi è noto come il «Buco del Viso», ed è meta di una bellissima escursione dalle sorgenti del Po (manco a farlo apposta, si parte proprio da Pian del Re, il pianoro sacro alla Lega dove ogni anno Bossi compiva il rito dell’ampolla). Il Buco fu fatto scavare dal marchese di Saluzzo, che intendeva così garantire alle carovane di mercanti (i Tir dei nostri giorni) una via per la Francia più veloce e più sicura del pericoloso Colle delle Traversette. Fu un boom: un anno dopo l’apertura, alla gabella risultò il transito di ventimila sacchi di sale.
Bisognerà aspettare quattro secoli perché l’ingegno dell’uomo diventi capace di aprire un altro buco (si dice «pertus» in piemontese, anche se i francesismi non piacciono ai governanti di oggi). Il traforo ferroviario sotto il colle del Frejus, avviato dal Regno di Sardegna, fu un’opera davvero «pazzesca» per i tempi in cui venne concepita. Vi giocarono un ruolo anche il talento diplomatico del Conte di Cavour (la consueta e complicata trattativa con i francesi), e l’ardimento tecnico del grande Quintino Sella, all’epoca ancora ingegnere di prima classe del distretto minerario di Torino, al quale venne affidata la soluzione del problema dell’aerazione. Fu invece per «fregare» i francesi, e garantirsi un collegamento autonomo tra Mediterraneo ed Europa centrale, che i governi delle appena unificate Germania e Italia fecero il «buco» del San Gottardo, un’opera che trovò tra i suoi sponsor perfino Carlo Cattaneo, il patriota delle Cinque Giornate di Milano ormai esule in Svizzera, che fin dall’inizio, forse ignaro del pensiero di Di Battista, ne difese l’interesse pubblico e nazionale. Dovunque ti giri, la storia dei «buchi» nelle Alpi si intreccia con la storia d’Italia e del suo Risorgimento.
Erano altri tempi, e non si facevano analisi costi-benefici. È difficile però trovare una qualsiasi di queste o altre grandi opere ereditate dal passato che oggi definiremmo inutile. Certe volte è anzi proprio la nascita di una infrastruttura che ne determina l’utilità. Quando nel dopoguerra si costruì l’Autostrada del Sole non esisteva certo un traffico automobilistico che ne giustificasse la spesa. Eppure c’è qualcuno che con il senno di poi condannerebbe l’azzardo di chi vi investì tanti soldi e tanta fatica? Nella maggior parte dei casi è poi stata proprio la temerarietà del progetto ad aguzzare l’ingegno e a sviluppare nuove tecnologie, come fu con le perforatrici pneumatiche ad aria compressa, inventate proprio per aprirsi la strada sotto il Frejus. Più ardita era l’opera, più innovazione tecnologica produceva; come sempre nel circolo virtuoso della storia umana.
Molte di queste imprese furono realizzate a prezzo del sudore e del sangue di migliaia di lavoratori, povera gente immolata sulla via del progresso. Quella del San Gottardo, in particolare, divenne così famosa per l’alto numero delle vittime da finire nelle canzoni degli alpini («Tapum» si riferiva proprio al botto delle cariche di esplosivo usate per far cadere le pareti di roccia). La coscienza dei nostri tempi non tollererebbe una tale carneficina. Salute dei cittadini e tutela dei lavoratori vengono oggi prima di ogni cosa. Ma è proprio questo che dovrebbe fornire ai «primitivisti» la prova definitiva che il progresso è una cosa buona, che l’umanità vi è condannata, e che nelle società civilizzate la qualità, la durata e il benessere della vita umana sono di gran lunga migliori che tra i primitivi.