Il Sole 24 Ore, 3 febbraio 2019
I calcoli del corvo tra le brezze del vento
Ricordo di aver letto un poliziesco anni fa dove a un certo punto si narra di un black out in città che si verifica nel momento preciso in cui una signora infila la spina del suo ferro da stiro nella presa della corrente. Naturalmente la signora crede di essere stata la causa del black out con la sua azione, quando in realtà vi è solo una coincidenza temporale tra i due eventi.
Il tipo di nesso causale che viene colto in queste circostanze è di natura squisitamente percettiva. Una relazione di causa effetto, cioè, che si nutre delle sole relazioni spazio-temporali tra gli eventi. Sul tavolo del biliardo, quando una pallina ne colpisce un’altra mettendola in movimento noi percepiamo un evento causale che corrisponde bene all’evento fisico reale, ma la stessa percezione l’abbiamo se sullo schermo di un computer un dischetto si muove accostandosi a un altro dischetto immobile e nel preciso istante del contatto il secondo dischetto inizia a sua volta a muoversi. Sembrerà, anche in questo caso, che il movimento del secondo dischetto sia stato causato dall’urto prodotto dal primo, anche se è del tutto evidente che a differenza di quel che accade sul tavolo del biliardo qui nulla ha urtato nulla. La riprova della natura puramente percettiva del nesso causale è offerta da questo semplice controllo: se dopo il contatto tra i due dischetti si lascia trascorrere qualche brevissimo istante prima che il secondo dischetto si metta in moto a sua volta, ogni impressione di causalità fisica svanisce. Il secondo dischetto sembrerà in questo caso muoversi di moto proprio, anziché come risultato dell’urto procurato dal primo.
Numerose ricerche suggeriscono che questo genere di percezione della causalità non abbia bisogno di esperienze pregresse, come per esempio l’aver assistito ripetutamente a delle collisioni tra oggetti del mondo reale. La cinematica che lo sostiene sembra essere già scritta nei nostri cervelli. In altri casi, invece, le esperienze sono importanti, come quando conduciamo un’inferenza sul ruolo causale svolto da una certa proprietà di un oggetto senza però esperire direttamente quella proprietà.
Consideriamo il modo in cui valutiamo il peso di un oggetto. Possiamo farlo in maniera diretta, sollevando l’oggetto; oppure in maniera indiretta, osservandone il comportamento in relazione ad altri oggetti o eventi. Ci sono varie prove che molte specie oltre alla nostra siano capaci di valutare il peso in maniera diretta, ad esempio gli scimpanzé possono classificare, sollevandoli, gli oggetti come pesanti o leggeri. Ma diverso è il caso in cui si tratta di inferire proprietà causali non osservabili direttamente. Osservando lo sforzo compiuto da qualcuno per sollevare un oggetto, possiamo intuirne il peso (un bravo mimo può convogliare l’impressione del peso anche in assenza di un oggetto reale, con i suoi movimenti solamente). Oppure possiamo desumere il peso sulla base del rumore che un oggetto produce cadendo a terra. Esperimenti condotti con gli scimpanzé suggerivano che questo genere di inferenze fosse fuori dalla portata di questi animali, come se la possibilità di una vera comprensione causale del peso di un oggetto appartenesse solo agli esseri umani.
Quest’idea è stata però messa in dubbio da alcuni risultati appena pubblicati da un gruppo internazionale di ricercatori guidato dalla psicologa comparata Nicky Clayton, dell’Università di Cambridge, che ha studiato i corvi della Nuova Caledonia alle prese con un compito ingegnoso. Immaginate di osservare in una piazza spazzata dal vento degli oggetti che per voi sono del tutto nuovi: alcuni oggetti vengono sollevati dal vento e trasportati in giro, altri invece rimangono ancorati sul terreno. Certamente sapreste valutare quale possa essere il peso relativo di questi oggetti sconosciuti, e avreste delle aspettative precise su quanta forza sia necessario esercitare per sollevarli.
Nell’esperimento i corvi imparavano dapprima a raccogliere con il becco e collocare in un contenitore uno di due piccoli oggetti per ottenere come premio del cibo. Una metà degli animali imparava a scegliere tra i due oggetti quello più pesante, l’altra metà quello più leggero. Successivamente i corvi potevano osservare due oggetti nuovi legati a una funicella e collocati di fronte a un ventilatore. In una condizione il ventilatore veniva azionato così che gli animali potessero notare come l’oggetto leggero volteggiasse mosso dall’aria, mentre quello pesante rimanesse adeso al suolo. Il settantatré per cento degli uccelli alla prima scelta selezionava l’oggetto corretto (pesante o leggero a seconda di quale fosse stato il loro addestramento iniziale). Quindi, benché non avessero avuto modo di esperire in maniera diretta il peso degli oggetti, i corvi erano in grado di inferirlo indirettamente sulla base dei movimenti degli oggetti nel vento. In una condizione di controllo il ventilatore rimaneva spento, e in queste circostanze non avendo modo di desumerne il peso gli animali sceglievano a caso l’uno o l’altro oggetto.
Nella sua semplicità si tratta di un risultato straordinario, che ci obbliga a riconsiderare la storia naturale di come e in quale misura gli esseri viventi siano in grado di cogliere la trama delle relazioni causali nel mondo.
Due domande sorgono immediate. La prima è quali altri animali potrebbero mostrare abilità simili, e quali aspetti del loro comportamento in ambiente naturale se ne avvantaggerebbero. I corvi della Nuova Caledonia sono abili costruttori di strumenti – in particolare, arpioni e uncini ottenuti lavorando con becco e zampe certi tipi di foglie e fuscelli – che usano per estrarre le loro prede dalle fenditure e dagli incavi dei tronchi e dei rami degli alberi. Circostanze, tutte queste, che hanno però poco a che vedere con una valutazione del peso. Più interessante è il fatto che molte specie di uccelli utilizzino in natura il peso come indicatore del fatto che certi frutti, come le noci, possano essere pieni o vuoti del loro gheriglio.
La seconda domanda è se realmente i corvi giungano qui a un autentico concetto di peso. Una possibilità alternativa che io intravedo è che siamo in presenza di una sua intuizione implicita e puramente percettiva, che potrebbe essere veicolata da quel genere di proprietà che noi cogliamo negli oggetti e che il celebre psicologo della percezione James J. Gibson aveva indicato con il termine di affordance. Le affordance, secondo Gibson, sono delle potenzialità di azione che vengono suscitate alla vista di un oggetto. Sono, per così dire, le azioni che un oggetto ti invita a compiere su di esso. L’affordance di una sedia è il suo invito a sedersi su di essa, quella di una manopola o di una maniglia è il suo invito a girarla. I corvi potrebbero perciò cogliere l’affordance della «spostabilità» di certi oggetti. Un precursore percettivo della piena nozione concettuale del peso di un oggetto.