Il Sole 24 Ore, 3 febbraio 2019
A tu per tu con Frida Giannini
Non è semplice come si potrebbe pensare capire e soprattutto confessare cosa si provi di fronte a una persona che ha messo in pratica un piano B, come Frida Giannini, che per qualche anno, da direttore creativo di Gucci, è stata una delle figure più conosciute del mondo della moda. Poi, per una concomitanza di circostanze personali e professionali, è scesa dal palcoscenico, si è allontanata dai riflettori. A parole, la vorrebbero in molti, un’alternativa alle nostre vite da occidentali privilegiati.
Non esistono statistiche – né forse potranno mai esistere – sulla felicità, serenità, soddisfazione delle persone o dei Paesi. I tentativi di misurare, in alternativa al Pil, il Pif (prodotto interno di felicità) o, come si dice in inglese, il tasso di Gns (gross national happiness), sono di fatto falliti. A giudicare però dall’aumento di utilizzo di antidepressivi e di droghe, sono molte le persone a non essere soddisfatte delle rispettive vite. O almeno dell’equilibrio tra sfera personale e lavorativa. Ed ecco uno dei tanti paradossi della nostra bizzarra contemporaneità – dire epoca non si può più. Se una persona il piano B lo trova, o comunque fa un passo indietro o laterale, suscita sentimenti contrastanti. Ammirazione, in primis, ma condita con un pizzico di invidia per chi ha tanta forza e determinazione. E magari c’è anche – la parte più inconfessata e inconfessabile – una sfumatura di soddisfazione: nell’arena super competitiva in cui ci muoviamo c’è un concorrente in meno.
Una soddisfazione spesso irrazionale, provata quasi certamente da molti colleghi stilisti proprio nei confronti di Frida Giannini, una persona che occupava una posizione alla quale in realtà in pochissimi avrebbero potuto ambire.
«Sono nata nel 1972 e non avevo trent’anni quando, nel 2002, mi chiamarono da Gucci, dopo una bellissima esperienza in Fendi. Nel giro di pochi anni ero direttore creativo della maison. Ora lo dico in modo neutro, come un dato di fatto. Ma allo stesso tempo mi rendo conto che si è trattato, oggettivamente, di una carriera-lampo – racconta Frida Giannini, che oggi vive tra Roma, la sua città natale, e Londra, che non smette di sorprenderla –. Ho amato talmente tanto il mio lavoro che per tutti gli anni in Gucci ho vissuto il mio ruolo in modo naturale, cercando di non farmi prendere né da manie di grandezza né, forse ancora peggio, da complessi di superiorità. Oggi però capisco che non era una cosa così normale essere al vertice di un marchio tanto importante per il made in Italy e in un momento delicato per l’azienda, che stava cambiando pelle insieme all’intera industria della moda e del lusso».
In Gucci Frida Giannini conobbe anche il futuro (secondo) marito Patrizio Di Marco, scelto come amministratore delegato nel 2009. Arrivati in momenti diversi, se ne sono andati insieme, nel 2014, e sui retroscena della decisione presa dai vertici di Kering, che ancora oggi controlla Gucci, sono state spese molte parole. Vincolati entrambi da accordi contrattuali e, come accade in questi casi, da “patti di non concorrenza”, né Frida Giannini né il marito hanno mai commentato, benché oggi sicuramente sarebbero liberi di farlo. Hanno guardato oltre, la loro unione è stata rafforzata dall’arrivo di una bambina, Greta. Di Marco però, appena libero, appunto, dalle condizioni del “divorzio” da Kering, ha ricominciato a lavorare nel mondo del lusso, in veste di consulente e membro di consigli di amministrazione. Frida invece si è dedicata a se stessa e alla sua bambina. Senza smettere mai di seguire la moda. «Quando si è assorbiti da un ruolo apicale nel settore, con tutta l’esposizione mediatica che questo comporta, ai ritmi frenetici dell’era digitale, c’è pochissimo tempo per riflettere, trovare un minimo di distacco – racconta -. Questi anni “alla finestra” sono stati positivi anche per tale motivo». Sarebbe fin troppo semplice dire che Frida Giannini non ha trovato un altro posto da direttore creativo perché impegnata a seguire nel migliore dei modi la figlia, aiutandola a superare una malattia di natura neurologica che non fu facile diagnosticare né poi curare. «È stata la nostra priorità, mia e di Patrizio. E abbiamo trovato in tanti ospedali e poi al Bambin Gesù di Roma, eccellenza della sanità pubblica italiana, infermieri, medici e fisioterapisti di eccezionale competenza e umanità – conferma Frida Giannini -. Ora che siamo fuori dal tunnel però mi rendo conto che questa pausa mi ha arricchita. Non solo perché combattere battaglie come queste fa scoprire risorse che forse non sapevi nemmeno di avere, ma perché, come dicevo, ho continuato a osservare il mondo che amo, quello della moda, con una lucidità e una serenità che in passato, per definizione, non potevo avere. Oggi forse lo amo ancora più di prima e la cosa che mi manca davvero è poter lavorare con una squadra di persone che hanno la mia stessa passione. Mi mancano il dialogo, il confronto, l’entusiasmo che cresce intorno a un progetto condiviso».
Il 2019 sarà l’anno del ritorno di Frida Giannini ai vertici creativi di un grande marchio? «Non ho sfere di cristallo e le malattie che ho affrontato, quella di mia figlia e prima la mia, un cancro, mi hanno insegnato a godermi gli affetti, gli spazi, le passioni – risponde la stilista -. Non significa banalmente vivere alla giornata: penso molto al futuro, anche perché mia figlia è piccola e per lei voglio immaginare un mondo bellissimo. Ma proprio per questo se rientrerò nell’industria della moda, preferirei farlo con un incarico meno totalizzante di quello che avevo in Gucci. Offerte in questi anni ne ho avute tante: alcune le ho scartate a priori, altre le ho valutate. Sì, è possibile che quest’anno ci sia qualche novità interessante». Non sbaglia forse chi ha visto un preludio al rientro ufficiale nella creazione di maglioni natalizi per Ovs, con un progetto nato dalla collaborazione con Save the Children, organizzazione che Frida Giannini sostiene da moltissimi anni. «Fra i tanti ricordi del mio periodo in Gucci ci sono quelli legati alle iniziative in favore dell’Unicef, di associazioni impegnate nella lotta alle discriminazioni o per l’ambiente. Oggi, giustamente, ogni grande azienda si pone obiettivi di sostenibilità sociale e ambientale, in Gucci lo abbiamo sempre fatto e vedo con piacere che il percorso continua».
Quella dell’infanzia in difficoltà, in Italia e in tantissimi Paesi del mondo, occidentale e non solo, è la causa che la stilista sente di più. «Non è solo per quello che è capitato a me con Greta. Mi sono avvicinata quando ero molto giovane alle onlus e ong impegnate per aiutare i bambini e le loro madri, quando non sono orfani.Le scelte individuali sono importantissime e la forza del terzo settore sta proprio nelle centinaia di migliaia di persone che danno il loro contributo con passione e abnegazione. Quando però al tuo fianco hai una grande azienda, in questo caso il gruppo Ovs, puoi usare strumenti di comunicazione potentissimi e fare davvero la differenza. Non si tratta semplicemente di raccogliere più denaro, ma di raggiungere più persone, che magari non sanno quanto siano drammatiche le condizioni di vita di altri esseri umani, vicini o lontani».
Rimasta fedele al suo stile sobrio, quasi austero, nel vestire, Frida Giannini conferma la sua passione per marchi come Prada e Dior, alla cui direzione creativa c’è oggi l’amica di sempre Maria Grazia Chiuri, che per lei, insieme a Pier Paolo Piccioli (all’epoca guidavano in tandem l’ufficio stile di Valentino), disegnò l’abito da sposa. Sulla moda di oggi preferisce non generalizzare o esprimere giudizi. Dice solo, da aggraziata Sibilla: «Nella storia della moda c’è sempre stato un andamento a cicli. Forse quello dell’estetica del brutto sta per finire». A maggior ragione, allora, Frida Giannini sta per tornare.