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Intervista a Scott Schutzman, il piccolo Noodles di C’era una volta in America
New York, Brooklyn, Dumbo. Arrivo su Washington Street all’incrocio con Water Street e mi metto a guardare il ponte di Manhattan esattamente nel punto della locandina di C’era una volta in America. Tutti qui, turisti da ogni parte del mondo, abbiamo nel cuore quel film, non ce lo togliamo dalla testa, eppure sono passati trentacinque anni: pare essere uno dei posti più fotografati a New York di questi tempi. Tutti a fare foto, selfie, video, tutti, tranne una persona. Un tizio sui cinquanta, serio, sta sul marciapiede a guardare la scena e mangiare pop corn. «È da cinque anni che non tornavo qui, e ogni volta che lo faccio mi emoziono. Prendo i pop corn, come fossi al cinema, e rivivo ogni istante di quei giorni sul set... Erano gli anni Ottanta, e avevo sedici anni».
Noodles?
«Sì, sono io».
(Lo guardo bene: malgrado i capelli bianchi, corti, la barba incolta, rivedo quel sorriso inconfondibile visti i lunghi primi piani che gli fece Sergio Leone. Anche gli occhi sono gli stessi di quel ragazzino che ha interpretato Robert De Niro da giovane, David "Noodles", che in realtà si chiama Scott Schutzman e di anni ne ha 51).
Che cosa pensa quando si ritrova qui?
«Penso soprattutto a Sergio. Ho continuato a fare l’attore, e i suoi insegnamenti sono stati molto preziosi. Sergio parlava tantissimo, urlava sempre, era meticoloso nel ripetere le scene allo sfinimento. Lui voleva che questa fosse la locandina del film perché diceva che gli italiani non vedono ponti così grandi in Italia. I ponti e il fumo che esce dai tombini nelle strade, per lui, erano l’America. Con le macchine faceva sparare tantissimo fumo, tossivo continuamente, l’odore di quel fumo lo ricorderò per tutta la vita...».
Quali sono stati gli insegnamenti di Sergio Leone?
«Il primo è che non devi sentirti superiore agli altri, fai parte sempre di una comunità di persone, non devi sentirti meglio o più bravo degli altri, mai, l’umiltà è la cosa che ti deve accompagnare nella vita. Il secondo è che quando fai l’attore devi pensare come pensa il personaggio prima di muoverti o parlare, e per me ai tempi era difficile farlo, perché Noodles si muoveva rapido, svelto, faceva tutto d’istinto. Io ero più portato per fare la parte di Max, mi piaceva di più il suo personaggio. Sergio alle audizioni mi faceva provare entrambi i ruoli, perché non si sapeva quale personaggio avrebbe scelto Robert De Niro. Io ero De Niro da giovane, ma lui non si decideva a scegliere Noodles o Max, e così per settimane ero entrambi. L’ultimo insegnamento di Sergio è stato: nel fare le cose devi metterci sempre il cuore e l’anima, altrimenti sei un imbroglione. E quando metti cuore e anima poi una parte della tua energia si diffonde agli altri, e rivivi in loro».
Chissà quanti aneddoti.
«La scelta dei nei da mettermi sulla guancia era un rituale molto importante: ogni mattina tiravano fuori una cassa con dentro centinaia di nei, e me li provavano fino a quando Sergio sceglieva quello giusto. Un’ora solo per mettermi il neo. E poi veniva il momento del cappello, un’ora per mettermi il cappello. La scena ripetuta più volte è stata quella in cui mandavamo a fuoco l’edicola: dopo quella scena io andai da lui e gli chiesi: “Ho la parte?”, e ricordo che lui non disse una parola, ma fece solo sì con la testa. È stato il momento più emozionante della mia vita. Ancora oggi ricordo la sua voce quando mi urlava: “Guarda Deborah, devi guardarla negli occhi, guardala!”. Gridava sempre, Sergio...».
E il “suo” Robert De Niro?
«Quando lo incrociavo sul set lo guardavo incantato, rubavo ogni suo movimento con gli occhi. Però poi quando lui si girava verso di me, facevo finta di niente, fischiettando andavo via. Ero spocchioso ai tempi. Anche con Sergio facevo così, dovevo fargli vedere che ero un duro, io. Cercavo di tenergli testa quando voleva discutere... ma vinceva sempre lui».
Cosa ha fatto in tutto questo tempo?
«Sono andato a letto presto... A parte la risposta da copione, faccio l’attore, il regista e anche il terapista per le coppie in crisi: ho studiato Depth Psychology. Sento spesso Max (Rusty Jacobs, nel film è James Woods da grande, ndr), siamo rimasti amici, fa l’avvocato in North Carolina; Patrick invece (Brian Bloom, ndr) è un produttore e vive a Los Angeles; degli altri non ho traccia...».
Diceva di Deborah: la ragazza dei suoi desideri.
«Eh... Deborah, Jennifer Connelly, è una star adesso. Vado a vederla al cinema».