la Repubblica, 3 febbraio 2019
Siamo tutti navigator
“Navigator”, “influencer”, “ricchi”, “famosi”, “giornalista”, “belle”: cosa hanno in comune queste parole? Sarebbe bello lasciarlo indovinare, ma quello in corso non è un quiz e dunque ecco subito la soluzione: si tratta dei primi risultati che compaiono, nell’ordine, come proposte di “riempimento automatico” dopo aver accennato su Google alla richiesta “come diventare…”. Negli anni Settanta si sarebbero riscontrati risultati come: “chitarrista rock, cantautore, astronauta, leader di collettivi politici”; negli anni Ottanta: “manager, creativo, broker, disc-jockey, stilista, assessore”; e così via.
Quelle elencate all’inizio sono invece le aspirazioni del momento, almeno quelle che si esplorano su Google e nel contempo a Google si confidano. L’intruso è, modestamente, “giornalista”: non pare proprio una professione oggi prestigiosa. Manca invece “chef”, forse perché nel sentiment diffuso si ha la savia impressione che per sapere cucinare ai massimi livelli Google può ancora pochino. Cambiando computer e utenza, alle medesime prime posizioni si affiancano altre figure affascinanti: “notaio, carabiniere, nutrizionista”. È l’algoritmo, bellezza. Ma ci deve essere anche un algoritmo mentale che, quando si parla di comportamenti di massa, determina certe tendenze.
“Navigator”: certo, è di quello che si parla. Due mesi fa fu Luigi Di Maio ad annunciare l’erezione di questo pilastro preliminare nell’ancora imperscrutabile cantiere del Reddito di cittadinanza. Ancor oggi è una delle poche certezze che si abbiano al proposito: i disoccupati che faranno richiesta dell’assegno saranno assistiti da diecimila “navigator”, e questi diecimila intanto un loro posto l’avranno pur trovato. Ad accorgersi che proprio la figura del navigator è entrata imperiosamente in vetta alla hit parade delle aspirazioni nazionali sono stati quelli di Open, il giornale online che Enrico Mentana ha fondato soprattutto in relazione al problema della disoccupazione giovanile. Il “navigator” è una figura professionale che deve aiutare le persone a costruirsi una figura professionale: pare conseguente che intanto chi non ha un’occupazione si informi su come diventare navigator.
Come parola è quasi buffo che la sua versione inglese entri nell’uso solo in questa accezione, dopo che si è affermato in italiano non solo il “navigatore” che assiste il pilota nel rally ma anche il “navigatore satellitare” che ha reso arcaici in un colpo solo ogni atlante stradale e ogni individuale senso dell’orientamento.
Anche lasciando perdere il giornalista, se ora però vediamo le altre aspirazioni che l’algoritmo ci mostra come le più condivise non possiamo che notare che discendono da un immaginario trasognato: influencer, ricchi, famosi, belle. Sono tutte qualifiche che dipendono dal consenso altrui: come faccio a diventare qualcuno di cui i follower si fidano, qualcuno a cui sono state devolute fortune, qualcuno che tutti conoscono, qualcuna di cui tutti e tutte ammirano l’aspetto?
Nel caso di “navigator”, invece, il moto aspirazionale investe una “posizione” (come si dice ora) del tutto opaca e priva di qualsiasi connotazione socialmente affascinante. Per quel che se ne sa, sarà plausibilmente una figura burocratica, un certificatore di condizioni svantaggiate e uno spulciatore di offerte di lavoro. Forse ad attrarre è allora un aspetto di emulazione: promettere lavoro agli altri è proprio il modo in cui alcuni disoccupati poco qualificati di ieri hanno trovato la loro propria occupazione, che oggi – navigator di sé stessi – svolgono al governo del Paese