la Repubblica, 3 febbraio 2019
La clausola James Bond è un problema
Nel gergo dello spionaggio la chiamano “clausola di James Bond”, soprannome che allude al titolo del primo film della serie: “Licenza di uccidere”. È la sezione 7 dell’Intelligence Service Act, con cui si autorizzano i servizi segreti a compiere in Paesi stranieri attività che potrebbero violare la legge se esercitate sul territorio nazionale. Di solito si tratta di operazioni clandestine che comportano l’ingresso nella casa di un individuo sospetto o l’intercettazione di telefonate ed email, ma non è escluso il ricorso alla forza. In teoria la supervisione del Foreign Office, il ministero degli Esteri britannico, garantisce la liceità di missioni simili. Ma l’Investigative Power Commissioner’s Office (Ipco), un organismo di recente creazione che controlla l’operato di servizi segreti, polizia e altre agenzie pubbliche, ha scoperto che non sempre la supervisione segue le regole.
Nel suo primo rapporto, l’Ipco segnala che l’Mi6, il servizio di spionaggio, e il Gchq, lo spionaggio elettronico, forniscono dettagli insufficienti al ministero degli Esteri ogni volta che invocano la sezione 7, ovvero quando richiedono l’autorizzazione ad agire – per dirla tutta – al di fuori della legge. E il rapporto rivolge una seconda accusa al Foreign Office, per avere approvato simili richieste senza pretendere maggiori informazioni. “Quis custodiet ipsos costodes?”, chi sorveglierà gli stessi sorveglianti, sottinteso della sicurezza nazionale, secondo la nota massima di Giovenale, è in sostanza il quesito posto dall’ufficio del commissario sui poteri investigativi.
Contrariamente a quanto avviene nei romanzi di spionaggio, la sezione 7 non assegna in modo esplicito alle spie una licenza di uccidere, né può autorizzare il trattamento crudele o disumano di persone sospettate di terrorismo. Tuttavia il rapporto dell’Ipco, il cui ufficio è stato istituito nel 2017, suscita lo stesso dei dubbi sul comportamento etico degli agenti segreti di Sua Maestà. Non è la prima volta che circolano interrogativi simili. L’anno scorso la Intelligence and Security Commission della camera dei Comuni accusò il governo di non avere posto abbastanza domande ai servizi segreti durante la cosiddetta “guerra al terrore” guidata dagli Stati Uniti, con il sostegno della Gran Bretagna, dopo l’attacco all’America dell’11 settembre 2001. La commissione Intelligence e Sicurezza riscontrò almeno 128 casi in cui lo spionaggio britannico era a conoscenza di “maltrattamenti” di detenuti e 31 incidenti nei quali agenti britannici pianificarono o aiutarono a pianificare rendition flights, i voli della Cia per deportare sospetti terroristi in paesi amici e interrogarli sotto tortura.
Commenta Dan Dolan, vicedirettore dell’organizzazione per la difesa dei diritti umani Reprieve: «Il governo deve assicurare che la sezione 7 non può essere usata per autorizzare atti di tortura, violenze ed abusi contrari alla legge». Ammonisce l’ex ministro della Giustizia Ken Clarke, ora presidente della commissione d’inchiesta parlamentare sui rendition flights: «Certi ministri degli Esteri tendono ad autorizzare qualsiasi richiesta presentata dai servizi segreti». E uno 007, quando questo avviene, può fare praticamente quello che vuole grazie alla “clausola di James Bond”.