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 2019  febbraio 03 Domenica calendario

Quelli che si comprano le vite usate

In tempi di recessione saranno sempre più quelli che si compreranno o venderanno, pezzo dopo pezzo, la vita usata. Nel 2017, ultima rilevazione Doxa, l’economia di seconda mano fatturava 21 miliardi di euro (l’1,2% dell’affannato Pil), con un aumento del 72% in tre anni, determinato dal boom del commercio on line. La principale piattaforma italiana per questo tipo di attività (Subito.it) ha oltre 8 milioni di utenti unici mensili, quasi metà degli italiani ha concluso almeno un affare sul web riguardante merce usata e ogni venditore ha incassato in media 1030 euro l’anno. 
Questi i dati, che, come sempre, sono facciate con le finestre oscurate, non lasciano vedere quel che c’è dietro: l’esistenza riciclata, il momento in cui la prima mano incontra la seconda e un vecchio elettrodomestico cambia proprietario. 
In un pomeriggio d’inverno, a Bologna, ho provato a seguire uno di questi percorsi, accompagnando nelle consegne un vecchio compagno di scuola, Glauco, la cui esistenza ha seguito la parabola delle montagne russe e da qualche tempo lo ha depositato in basso, dove resiste, tra l’altro, vendendo qualunque cosa a chiunque. Ha con sé una lista di destinatari e destinazioni. Quando possibile evita le spedizioni: il compratore è rassicurato e il prezzo pattuito ha una detrazione in meno. In cima all’elenco appare il nome di una donna che dovrebbe presentarsi all’uscita di un casello autostradale per acquistare, alla cifra di 10 euro, undici gettoni telefonici. Viene da chiedersi perché siano stati conservati. Riaffiora il ricordo di un gruppo di dipendenti dell’allora Sip che, in previsione dell’aumento di valore del singolo gettone da 50 a 100 lire, ne fece sparire una ingente quantità, nascondendola nel controsoffitto dell’ufficio. Tanto ingente era la quantità che il controsoffitto non resse, rivelando a pioggia il tentato aggiotaggio. 
La speranza degli umili
In oltre quarant’anni gli undici gettoni che aspettano la nuova proprietaria hanno aumentato il loro valore di quasi quaranta volte. Peccato la quantità non sia, né possa essere stata, ingente. È la speranza degli umili, quella di potersi arricchire custodendo un oggetto magico: il francobollo che commemora il millesimo gol di Pelé, un miniassegno, la copia autografata di un 45 giri di Domenico Modugno. Poi ci si ritrova sul bordo di un’autostrada ad aspettare di ricavarne una singola banconota. Intanto Glauco traffica per concludere un’asta che si è scatenata tra due pretendenti dello stesso oggetto: un orologino femminile in acciaio. Sono arrivate entrambe a 40 euro, ma una fa mille domande: «Ha la scatola?», «È impermeabile?», «Il datario scatta puntuale a mezzanotte?». L’altra dice soltanto: «Sono Maria, albanese, amo l’Italia, anche se ci sono troppi africani. Quell’orologio mi servirebbe proprio».
Arriva la donna dei gettoni. Scende da un’auto sportiva. È inevitabile, dopo che ha pagato, chiederle che cosa se ne faccia, avendo appurato in precedenza che il numero di serie non attribuisce loro alcun valore tra i collezionisti. Risponde: «Mi ricordano i miei felici Anni Settanta... quando andavo alle cabine a chiamare il moroso... se trovate uno di quei telefoni, lo compro». 
Puntiamo sul futuro, ma è una scommessa persa perché il tempo è un usuraio. Ci ritiriamo allora nel passato, ridipingendolo per nascondere, appunto, l’usura del tempo. Conta soltanto quel che abbiamo tra le mani. Per la precisione: un computer rotto che portiamo a un rottamatore in cambio di 30 euro. Che sia rotto lo sa, gli serve l’involucro: un gruppo di hacker mette insieme programmi diversi e ce li infila, neppure lui sa come, sa che esiste un mercato e questo basta a tutti. 
L’asta per l’orologino
È un errore che commettiamo spesso: soddisfatti dei singoli passaggi, non consideriamo la destinazione finale e le sue conseguenze. Soldi in tasca e via verso la zona fiera dove a ricevere un cellulare di vecchia generazione con lo schermo leggermente scheggiato attende un sikh paziente, che non contesta il ritardo ma la dimensione del graffio e ottiene 5 euro di sconto (totale 25), andando via felice. 
L’asta per l’orologino da donna è arrivata a 50 euro da ambo le parti. Soltanto allora, vedendo l’interesse, Glauco si ricorda di verificare poiché «qualunque cosa tu venda, esiste qualcun altro che sta vendendone una uguale». Così è: il «gemello» dell’orologio sta su un altro sito a 100 euro. L’albanese offre 55. Andata. Arriva l’indirizzo per la consegna: è un ospedale. Orario di visita dalle 18,30. 
C’è tempo per altre due rapide consegne ravvicinate vicino all’Università. Un garagista si prende due prolunghe con presa multipla per 10 euro l’una. Poi è la volta di un oggetto dal quale Glauco si separa a fatica: il rasoio elettrico del padre, con tanto di scatola originale e garanzia, datata 1953, reso inutile dalla presenza di una folta barba sul viso di chi l’ha ereditato. Alla fine, recedendo, il valore affettivo diventa 30 euro. L’incasso a fine di una giornata che raccoglie le trattative di due settimane sarà di 170.
E ora l’orologio per Maria, l’albanese in ospedale. Quale reparto? La risposta arriva per messaggio, sorprendente: maternità. Entriamo, saliamo. La donna è sulla trentina, dovrebbe partorire l’indomani. Guarda l’orologio con tenerezza, dice che lo indosserà da quando sua figlia sarà venuta al mondo, per segnare un tempo nuovo, a cui rimetteremo ogni speranza con disincanto. 
Già scelto il nome? Dice che le piacerebbe chiamarla Italia.
Mi sovviene di un articolo che scrissi 25 anni fa per questo giornale. Mi fu chiesto di trovare un albergo che ospitasse ragazze dell’Est. Telefonai a vari informatori. Fu un poliziotto di Vicenza a indirizzarmi a una pensione. La gestivano una signora distinta e il figlio carabiniere. Le ospiti erano sfortunate connazionali di Maria, controllate da un racket che lei non ha conosciuto. Curiosamente, il giorno stesso della pubblicazione dell’articolo la polizia chiuse la pensione che un suo elemento aveva segnalato per le sue note attività. Si chiamava Italia.
Oppure?
«Oppure Alba, come fosse nuova luce».
L’orologio è sul comodino, aspetta di indicarla.