La Stampa, 3 febbraio 2019
Intervista a Michele Riondino, il diavolo a teatro
Capelli lunghi, scarmigliati, occhi bistrati, labbra rosso sangue, sorriso inquietante risatina isterico-stizzosa. Colui che fu il composto madrino della Mostra del Cinema, Michele Riondino, è Satana: quasi irriconoscibile. A lui il regista Andrea Baracco ha affidato il ruolo chiave di Woland in Il Maestro e Margherita, produzione dello Stabile dell’Umbria, in scena al Teatro Eliseo di Roma fino a oggi, poi a Correggio (Reggio Emilia).
«Si presenta come un nobile decadente ed elegante, dalle maniere gentili – spiega l’attore -. Poi, nel corso dello spettacolo, lo scarnifico fino a lasciare a nudo la Bestia biblica. Il ghigno è ciò che, secondo me, lo caratterizza: ambiguo e irridente, è il principe degli inganni. Anche fisicamente è così: zoppica e si appoggia a un bastone, che però spesso non gli serve. Woland è Satana. Ed è Lucifero, l’angelo ribelle, protagonista di un paradosso: essere il nemico di Dio e doversi affannare a testimoniarne l’esistenza. Come dice nel finale: come luce e ombra non esisterebbero l’una senza l’altra, così Dio e il Demonio, Bene e Male».
Concetto elastico e generico: cosa è Male per lei?
«L’uomo che distrugge il Pianeta su cui vive e le esistenze dei suoi simili. Il Demonio non so che forma abbia, ma penso che l’uomo sia a sua immagine e somiglianza per tutte le atrocità che compie. Siamo noi il cancro del nostro pianeta, il virus che lo divora dall’interno».
Lei si è sempre battuto per l’ambiente, a partire dalla sua Taranto e dall’Ilva. Come vanno le cose dopo l’arrivo di Mittal?
«Che è cambiato il governo ma non la strategia politica. Quelli che ieri contestavano oggi fanno esattamente ciò che combattevano a gran voce. L’azienda continua a produrre e a inquinare. La produzione è aumentata e la forza lavoro è diminuita, buttato fuori chi si lamentava di più. C’è un fantomatico piano ambientale che prevede un abbattimento dell’inquinamento del 15-20%. Ma come, se non sono stati fatti interventi di rilievo? Per gli italiani l’Ilva è questione risolta: si è solo smesso di parlarne».
Lei votò 5Stelle.
«Proprio perché sostenevano la chiusura dell’acciaieria. Si è visto cosa hanno fatto. Mai più. Tornerò a non votare».
A che punto è con il giovane Montalbano?
«Per ora non sono previsti nuovi episodi, ma solo perché manca la “materia”, gli scritti di Camilleri. C’è l’idea di alternarlo con i romanzi storici, di cui ho interpretato La mossa del cavallo (un secondo è in lavorazione diretto da Roan Johnson, La stagione della caccia con Francesco Scianna, ndr). Però, sì, più avanti, potrebbe esserci qualcosa per me».
Il 14 febbraio esce «Un’avventura», film di Marco Danieli.
«È una bella storia d’amore non convenzionale ambientata nel 1979, raccontata attraverso una dozzina di canzoni di Lucio Battisti e Mogol riarrangiate da Pivio e Aldo De Scalzi. Di Non è Francesca hanno fatto un tango: la mia preferita. È un musical, non un biopic, anche se il protagonista scrive canzoni. Mi sono messo in gioco: canto e ballo».
Progetti dopo «Il Maestro e Margherita»?
«Dopo due anni e tre spettacoli, questo, Giulio Cesare, il mio Angelicamente anarchici, ho voglia di casa, moglie e figlia. Sto pensando a una nuova cosa mia da realizzare a teatro. Ma soprattutto ho voglia di tornare al cinema. A marzo inizio un’opera prima. Poi si vedrà: mi arrivano tante proposte. È bello avere la possibilità di scegliere. È una fortuna. E una conquista. Anni di teatro, piccole produzioni off, cose molto mie e personali che dirigevo, eppure è solo grazie a spettacoli come Giulio Cesare e Il Maestro e Margherita se non sono più solo percepito come una specie di un invasore televisivo poco a suo agio sulle tavole di un palco».