La Stampa, 3 febbraio 2019
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Biografia di Luca Pasquaretta
L’ultima cena torinese - dicono - risalga a qualche giorno fa. Allo stesso tavolo di Luca Pasquaretta - ormai lanciatissimo sulle questioni romane e ministeriali - siedono Chiara Appendino e pochi altri commensali. L’occasione sarebbe il compleanno della figlia di Chiara. Brindisi, risate, pettegolezzi. E il telefono di «Luca» che squilla mentre dall’altra parte ci sono gli investigatori che ascoltano. Appendino ha «valigiato» da pochissimi giorni l’assessore all’Istruzione: congedata e accompagnata alla porta senza troppi complimenti. Come, raccontano, sia nel suo stile. Come, sussurrano, abbia fatto anche con l’uomo che per cinque anni - e un po’ - è stato il suo gran suggeritore su questioni di strategia e politica, Paolo Giordana.
Con Pasquaretta, no: con lui è tutto differente. Lui lavora per se stesso. E per «Chiara». Lei lo apprezza. E da personaggio del suo entourage di seconda fila, poco alla volta lo innalza a gran commis che le tiene l’agenda. Lo difende anche davanti ai suoi - minacciando le dimissioni - quando salta fuori la consulenza per il salone del libro, ovviamente pagata. Autorizzata dalla sindaca? Certamente. Perché nessun funzionario o dirigente del palazzo mai si sognerebbe di prendersi la responsabilità di firmare un documento senza il placet politico. Ma poi le cose cambiano: un po’, non tanto. I guai giudiziari di Pasquaretta pesano. Causano tensioni. E allora lui chiude il contratto. È il 3 di agosto, un martedì, quando se ne va da Palazzo Civico sbattendo la porta. L’ex addetto stampa del Palastampa, palazzetto ormai vuoto da anni, cerca un’altra collocazione. Romana, possibilmente. C’è l’ipotesi di andare a lavorare nello staff della vice ministra Laura Castelli. Lui insiste, briga, si muove, fa pressioni. E ce la fa.
Fa caldo in quei giorni di piena estate e «Luca» si concede una vacanza in Basilicata, a Forenza, casa sua. È lanciatissimo. Ha in tasca contatti con il mondo che conta dei Cinquestelle. Da mesi va spessissimo a Milano (qualcuno dice una volta la settimana, in treno) alla Casaleggio a trattare con i vertici del Movimento. Ha in tasca il numero di telefono di Grillo e rapporti più che buoni con il vicepremier Di Maio. Agganciato nelle puntate romane di «Chiara» che lui fino a poche settimane prima seguiva come un’ombra. Manda messaggi agli amici, dice: «Alla fine siamo ciò che scegliamo di essere». E lui, in quel momento, è un uomo che va spedito verso nuovi traguardi nei palazzi della capitale.
Sono giorni caldi di incontri e di telefonate. La questione della consulenza con il «Salone» è sempre sullo sfondo, l’indagine della procura pure, ma sembra non turbarlo troppo. In Basilicata gli propongono un lavoro. Per un consorzio di bonifica. «Un incarico ben remunerato» raccontano. Ma nessuno sa dire quanto. Lo accetta. Ma quello è anche il primo passo falso, che gli vale un capo di imputazione dell’avviso di garanzia appena arrivato: «Turbativa d’asta».
E mentre è in vacanza posta sui social fotografie di Matera, Capitale europea della cultura, regala perle di saggezza e sfoghi telefonici. E riaggancia vecchi amici e compagni di viaggio.
Vi ricordate il Palastampa, dove aveva fatto l’addetto alla comunicazione? Ecco sarebbe proprio in quei giorni che Luca Pasquaretta riprende i contatti con il patron della struttura che è a due passi dallo Juventus Stadium. Divier Togni di lui ha un buon ricordo e sa di cosa si è occupato nell’ultimo anno e mezzo: della politica di Torino. Togni ha perso il Palatrussardi a Milano. Ha ancora speranze su Torino. Sta di fatto che i due si incontrano e trovano un accordo. Su una mano Togni mette 8 mila euro, sull’altra il biglietto delle richieste: agganciare gli assessori di Torino per far ripartire il palazzetto. E «Luca» si dà da fare. Ma anche questo scoprono quelli della procura. Che aggiungono un’altra ipotesi di reato all’avviso di garanzia: Traffico di influenze illecite. Togni oggi dice: «Che c’è di male? Io pago la gente che lavora per me. E in quello non c’era nulla di illegale». Anche perché - spiega - l’accordo si sarebbe formalizzato ben più avanti, quando «Luca» faceva già altro. Quando già difendeva Laura Castelli dalle domande che avrebbero potuto metterla in difficoltà.
E intanto parlava e parlava al telefono. Con l’assessore al Commercio di Torino, l’avvocato Alberto Sacco. Amico e depositario di mille sfoghi. O meglio ancora: suo grande sponsor. Perché qui la storia torna all’inizio. Ovvero al 2015. Quando Chiara Appendino decide di candidarsi. E forma la squadra che le deve dare una mano. Sono in tre. Lei, suo marito Marco e Paolo Giordana, che fa tutto. Gli altri si affacciano poco alla volta. Arriva anche Sacco, che trascina dentro Pasquaretta. Poi c’è la marcia trionfale delle elezioni e un contratto per «Luca» da addetto stampa. Infine la scalata alla fiducia di Appendino. Che per lui - dicono - era pronta a fare qualunque cosa.