La Lettura, 3 febbraio 2019
Una spy story su Trump e i russi
L’imprenditore di New York, il futuro presidente degli Stati Uniti, viene salvato dalla bancarotta grazie a capitali russi. La sua prima moglie, nome in codice «Kingfisher», è una «rondine», una spia dell’ex Cecoslovacchia che dipende a sua volta dal Kgb di Mosca. Ragazze reclutate spesso nei villaggi e nelle piccole città; addestrate con «programmi speciali» e poi inviate nel mondo occidentale per adescare personaggi influenti: politici, uomini d’affari. Il funzionario dei servizi segreti di Mosca che ha orchestrato tutta l’operazione ora siede al Cremlino e governa, anzi domina il Paese.
La trama di Codice Kingfisher, appena uscito in Italia per Longanesi, è troppo simile al grande sospetto che grava sulla politica americana per essere solo una «detective story». E infatti, dopo la presentazione alla Fiera di Francoforte, è già un caso internazionale. L’autore ha scelto la formula del romanzo per poter raccontare, in libertà e in modo avvincente, «la lotta di due donne contro forze potenti e misteriose». È un giornalista e uno scrittore conosciuto negli Stati Uniti, ma questa volta ha scelto di non comparire, «per proteggere la mia fonte», come spiega in questa intervista telefonica registrata, con un numero schermato naturalmente, martedì 29 gennaio.
È un po’ difficile parlare con un Anonymous... Che cos’è il suo libro? Un’inchiesta mascherata da romanzo?
«Non so, forse può rientrare nel genere dei “conspiracy book”. Diciamo che è un libro che racconta come due donne, la giornalista Grace e l’ex modella Elena, lottino entrambe contro potenti forze misteriose, grandi apparati che condizionano il mondo».
Come ha conosciuto la «fonte» che l’ha spinta a scrivere?
«La fonte è un uomo d’affari che ho incontrato durante un pranzo, nel novembre 2017. A tavola spiegò che era fuggito dall’allora Cecoslovacchia nel 1968, quando la Primavera di Praga si stava spegnendo e i sovietici stavano per arrivare in città».
È stato lui a raccontarle la storia delle «rondini» e dei «corvi», donne e uomini reclutati dai servizi segreti per adescare personalità in vista nel mondo occidentale?
«Sì, mi ha avvicinato dopo il pranzo. Ha cominciato a dirmi che sua moglie apprezzava molto i miei libri. Poi ha buttato lì: avrei un’idea interessante per lei. E mi ha raccontato come funzionavano le cose nella Cecoslovacchia comunista negli anni Settanta, mi ha parlato del “programma delle rondini”, dei servizi segreti, della politica americana di allora, fino ai nostri giorni».
A quel punto le sarà venuta voglia di verificare...
«Certo. Due settimane dopo sono partito per Praga e ho trascorso diverso tempo nel Museo del Comunismo, negli archivi dell’Istituto per lo studio dei regimi totalitari...».
Sono gli stessi luoghi dove la reporter Grace comincia la sua indagine...
«Tutti i luoghi che descrivo nel libro sono reali: gli appartamenti, le ville di Miami, Strasburgo, Mladá Boleslav, Praga. Ho girato parecchio per costruire il viaggio delle due protagoniste. Sono autentici anche i dettagli, i nomi dei ristoranti, degli alberghi. Controlli pure».
Senta, signor Anonymus, il romanzo suggerisce che Elena, la «rondine», la spia «Kingfisher», cioè Martin Pescatore, sia Ivana Marie Zelnickova, nata il 20 febbraio 1949 a Zlín, nella Repubblica Ceca, fotomodella, nota in tutto il mondo per aver sposato Donald Trump nel 1977, da cui ha poi divorziato nel 1992...
«Sì, ci sono molte analogie con il personaggio di Elena. A cominciare da un particolare. Dopo la Primavera di Praga a nessun cittadino, a nessuna donna era consentito andarsene liberamente dal Paese, sposare chiunque volesse in un altro Stato. Per fare una di queste cose una donna doveva essere autorizzata dal regime».
Ma tutto ciò non prova che Ivana Trump sia una spia. E, per come l’abbiamo vista in questi anni, è difficile immaginarsela in questo ruolo...
«Certo. Ma io non voglio provare niente. Non ho scritto un saggio, ma un romanzo che racconta le storie di alcuni personaggi da me inventati, li presenta come esseri umani, con le loro paure, emozioni e ambizioni, partendo da una base di fatti realmente accaduti. Il personaggio di Elena, come Ivana, è quello di un’imprenditrice abile, astuta. E lo ripeto perché è un passaggio fondamentale: tutte e due hanno avuto una libertà di movimento che normalmente non era consentita alle cittadine della Cecoslovacchia comunista. Elena nella fiction; Ivana nella realtà».
Un’altra figura chiave, naturalmente, è quella di Anthony Craig, imprenditore americano che somiglia molto a Donald Trump. Parla come lui, beve Diet Coke e a un certo punto cade nella trappola dei russi...
«Sì, la società di Anthony è vicina alla bancarotta. Sua moglie Elena, seguendo le istruzioni dei servizi segreti russi, combina un pranzo con finanzieri russi e israeliani in un lussuoso albergo di Londra. Alla fine Anthony accetta il prestito che lo salva e da quel momento diventa “proprietà totale” del Kgb. Lì si vede all’opera una macchina che si muove solo per il potere, che non fa distinzione tra democratici e repubblicani. L’importante è “impadronirsi” di qualcuno che un giorno potrebbe diventare presidente degli Stati Uniti».
Nel libro c’è anche Vladimir Putin, alias Morodov. A un certo punto, non sveliamo troppo, commette personalmente un omicidio. È plausibile?
«Morodov è un uomo che ha cominciato a lavorare quando era ancora un teenager per il Kgb. È stato addestrato a raggiungere i suoi obiettivi, è pronto a fare qualsiasi cosa. È anche un uomo molto tenace, paziente nel perseguire la sua strategia e con Elena è stato molto fortunato perché la sua “rondine”, alla fine, ha sposato l’uomo giusto, perfetto: il futuro presidente degli Stati Uniti. Ma se usciamo dalla fiction e guardiamo a quello che è successo in Russia negli ultimi anni, per me è credibile che anche Putin possa fare qualsiasi cosa per conquistare e conservare il potere».
La storia termina nel 2016, con la vittoria di Craig nelle presidenziali americane. Elena, ormai divorziata dal presidente, confida alla giornalista Grace che negli Stati Uniti sono attive 500 «rondini», molte di più che all’epoca della Guerra Fredda. È un dato impressionante...
«È così. È un modo per annunciare i tempi bui che stiamo vivendo. D’altra parte le cronache segnalano che ogni anno negli Stati Uniti vengono individuate o arrestate 3-4 spie, donne reclutate e addestrate dai servizi segreti russi. La scorsa estate, quando stavo terminando il libro, proprio a Washington, è stata arrestata una ragazza russa, Maria Butina, con l’accusa di aver cospirato per conto di Mosca contro gli Stati Uniti».
Il «programma delle rondini» fa parte di una strategia più ampia condotta dai russi che comprende attacchi informatici e falsa propaganda sui social?
«Sì, penso che sia quello che sta accadendo».