Corriere della Sera, 3 febbraio 2019
Il totoaba e i narcos
Da certe parti rende più della droga. In Cina sono disposti a pagare 50-60 mila dollari per un chilo di vescica natatoria del totoaba, pesce simile al branzino. A volte anche il doppio. Sul mercato orientale fanno pazzie per avere il prodotto pregiato, usato nella medicina naturale ma anche per il suo presunto potere afrodisiaco. Dunque è molto richiesto, insieme alla vaquita, altra specie ormai in via d’estinzione e ridotta a pochi esemplari.
Se c’è la domanda, arriva la risposta. A darla sono alcune gang messicane, gemelle di quelle coinvolte nel traffico di coca e marijuana. Network ben strutturati, alcuni legati al cartello di Sinaloa, hanno creato la loro base operativa nella Bassa California e filiere che si estendono in tutto il Paese.
Contro di loro si muovono forze di polizia, al loro fianco gli eco-guerrieri della Sea Shepherd, chiamati ad una missione rischiosa: un loro battello è stato assalito dai bracconieri infuriati per il loro intervento, c’è stato un lancio di sassi e un incendio a bordo di un’imbarcazione «verde». Metodi drastici nel mare di Cortez, davanti alla località di San Felipe. Gesti violenti di una realtà dove si infiltrano anche i narcos, pronti a sfruttare le tensioni che oppongono i pescatori alle autorità decise a far rispettare il santuario.
Fonti della sicurezza sostengono che uno dei gruppi più grossi, quello che faceva capo al boss El Parra o El Flaco, arrestato in settembre, contava non meno di 80 elementi. Organizzazione a conduzione familiare, con parenti e sorelle a ricoprire ognuno ruoli precisi. Le bande non si sporcano certo le mani con il lavoro, bensì si affidano a team di marinai della zona, ai quali un chilogrammo di totoaba frutta bene. Cifre che partono da oltre 500 dollari e tendono a salire a seconda del momento mentre sono ben più cospicue le somme destinate ai loro referenti.
Poi ci sono gli addetti al trattamento della merce: la vescica è essiccata oppure congelata in piccoli impianti. Quindi prosegue il suo viaggio grazie ad una catena di distribuzione che sfrutta ogni mezzo possibile, nascosta sotto carichi legittimi, infilata all’interno di copertoni. Le rotte e le spedizioni sono protette dai sicari per evitare i furti da parte dei rivali. E non manca neppure l’azione di propaganda, usando Facebook e altre piattaforme, per difendere i diritti di chi vuole meno regole per pescherecci e attività ittica.
Sul territorio messicano i «rappresentanti» locali concludono i loro affari con i partner cinesi, in maggioranza originari di Jiangmen, nella regione meridionale dello Guangdong. Esistono – secondo i media – delle complicità tra quanti dovrebbero sorvegliare. Agenti, doganieri, funzionari verrebbero corrotti, esattamente come fanno i padrini che spediscono la marijuana e anfetamine verso gli Stati Uniti. Così è nato un settore con società aperte nella capitale, a Culiacan, a Mexicali (vicino al confine con la California) e Tijuana, cittadina che rappresenta come un grande snodo per i flussi illegali. Infatti è teatro di faide senza fine per la battaglia tra i grandi clan ma anche per i regolamenti di conti di piccoli criminali.
Ci sono sempre le cifre degli uccisi a rammentarlo. Il bilancio delle vittime per omicidio nel 2018 in Messico indica il numero di 28.816.