Corriere della Sera, 3 febbraio 2019
Ascesa e declino del M5s a Torino
Qualcuno prima o poi ci avrebbe scritto un libro. La storia di tre ragazzi sconosciuti o quasi, dotati di un budget di appena 34.500 euro, che si imbarcano in una campagna elettorale fatta in casa. E infine sconfiggono nella città che più di ogni altra era roccaforte del Pd il sindaco uscente Piero Fassino, rivelando in anticipo sui tempi come il gigante democratico avesse ovunque i piedi di argilla, e non esistessero più santuari inviolabili.
Era la favola bella del Movimento Cinque Stelle, molto più di Roma e delle sue mille subordinate. C’era il volto fresco di Chiara Appendino, giovane, preparata e poliglotta con laurea alla Bocconi. Paolo Giordana rappresentava la risorsa trascurata dal Pd e dall’efferato Sistema-Torino, un dirigente comunale che a suo dire vantava innumerevoli torti subiti dalle precedenti amministrazioni, e ben presto si guadagnò i nomignoli di Rasputin o Richelieu della nuova sindaca. Accanto a loro, sempre con atteggiamento da guardia del corpo, Luca Pasquaretta, un giornalista sportivo dal curriculum variegato. I suoi modi bruschi non lo resero simpatico a tutti. Ma anche lui aveva un suo perché. Con una arruffata genuinità al servizio di una devozione totale alla causa dei 5 Stelle, segnava comunque una rottura netta rispetto alla finta cortesia, alle perenni sfumature, insomma all’ipocrisia di fondo contemplata dal canone del potere sabaudo.
Sappiamo come è andata a finire. L’illusione è durata poco. E forse ognuno dei tre protagonisti di quella favola ormai sbiadita guarda con rimpianto a quell’epoca di entusiasmo culminata con il saluto dell’incredula Chiara dal balcone di Palazzo di Città ai suoi sostenitori in festa. Era una notte quasi estiva del giugno 2016. Solo due anni e mezzo fa. Sembra passato un secolo. Giordana passò ben presto da Rasputin a intruso, per via delle sue mai nascoste simpatie democratiche. «Non è uno di noi» ripetevano i consiglieri comunali. Lui ci mise anche un malinteso senso di rivincita misto a onnipotenza che non lo rese certo popolare in municipio. Cadde per una vicenda di multe fatte togliere a un amico, peccato veniale che sigillò una parabola ormai in fase calante. Oggi frequenta le manifestazioni a favore della Tav, anche questo è un cerchio che si chiude.
Il volto di Chiara Appendino si è incupito. Tutto è cambiato intorno a lei, a cominciare dalla percezione della sua figura e del suo lavoro, e la sindaca ne è consapevole. Non è questa la sede per giudicare se il declino di Torino sia vero o presunto, e soprattutto se sia del tutto da attribuire al suo operato, che comunque denuncia un’assenza di visione, quasi che l’esito felice di quella avventura avesse sorpreso per primi i loro protagonisti. Appendino si vede e si sente poco, ormai diserta spesso anche le manifestazioni ufficiali. Non è un mistero che viva i due anni di mandato che le restano come un tormento da scontare prima del ritorno alla famiglia e alla figlia amatissima.
Pasquaretta non mollava mai. Non era nel suo carattere. In quella avventura, lui ci si era buttato con tutta l’anima. Non esiste giornalista torinese che non ci abbia litigato a sangue, per le sue tentate invasioni di campo. Ma è sempre stato chiaro che lo faceva perché ci credeva davvero. Anche lui, come Giordana, con il quale ruppe abbastanza in fretta per questioni di supremazia territoriale, ha spesso peccato di hybris, pensandosi più importante di quel che in realtà non fosse. Una volta alla settimana andava alla Casaleggio&Associati. Ci teneva a presentarsi non come semplice portavoce, ma come ufficiale di collegamento tra la sindaca e la Spectre pentastellata. A differenza dell’ex Rasputin e anche della sua adorata Chiara, non era certo disposto a tornare da dove era venuto. Disegnava scenari, sognava in proprio e per conto della sindaca. Palazzo di Città doveva essere per lui il punto di partenza, non di arrivo.
Quando scivolò su un lavoretto svolto per il Salone del libro all’insaputa di Appendino, gli venne presentato un conto salato. Pasquaretta, il pitbull fedele, si aspettava di ricevere maggiore sostegno dalla donna della quale era diventato il factotum. Ma proprio la ferocia e la scarsa diplomazia con la quale aveva protetto la sua sindaca lo rendevano materiale da maneggiare con cura, anche all’interno dello stesso mondo a Cinque Stelle, dove era guardato con diffidenza. Più volte Laura Castelli, viceministra torinese di M5S, venne sentita dire pubblicamente che mai e poi mai avrebbe preso nel suo staff il rude Pasquaretta. Proprio per questo, quando l’ormai ex fedelissimo della Appendino cominciò a mandare comunicato in suo nome, la sorpresa fu generale. Adesso la procura ipotizza faccende di ricatti e tentate estorsioni, di minacce più o meno velate, tra persone che furono una cosa sola. Quel gruppo di ragazzi che fece l’impresa sono diventati un piccolo esempio delle tensioni e delle rivalità che animano al suo interno il Movimento, rendendolo simile agli altri partiti, annullando la sua presunta differenza. Lo hanno scritto e detto in tanti, che in fondo alle favole c’è sempre un incubo.