La Stampa, 2 febbraio 2019
La guerra dei dati tra Usa e Cina
La sfida fra Cina e Stati Uniti sull’intelligenza artificiale cela lo scontro fra modelli opposti di governo dei dati che avrà conseguenze per la definizione dei diritti digitali di ognuno di noi.
Il governo dei dati è decisivo per la sorte dei diritti individuali perché grazie alle nuove tecnologie ognuno di noi produce informazioni digitali. La velocità di tale produzione è impressionante: dall’1 gennaio 2016 ad oggi sono stati creati più dati di quanti ne siano stati prodotti dalla creazione del mondo al 31 dicembre 2015. Ciò è vero anche in Italia: la maggioranza dei dati a disposizione della Pubblica Amministrazione è stata creata negli ultimi 24 mesi. Avere a disposizione masse imponenti di dati significa possedere informazioni minuziose su una moltitudine di esseri umani. Governare tali dati consente dunque di creare servizi ed opportunità di sviluppo ma anche di conoscere abitudini, preferenze e vite personali dei singoli. Da qui la sfida per governarli: può migliorare la qualità della nostra esistenza o sottometterci ad un Grande Fratello assai più invadente di quello immaginato da George Orwell nel suo «1984». L’Intelligenza artificiale riguarda tutto ciò perché si sviluppa grazie ai dati: più ne conosce, legge ed elabora più è in grado di moltiplicare funzioni, attività, potenzialità sostituendosi agli esseri umani. Come l’elettricità alla fine dell’Ottocento fu strategica per la rivoluzione industriale così oggi l’intelligenza artificiale è la linfa vitale della rivoluzione digitale.
Da qui il focus sulla sfida fra i modelli concorrenti di Usa e Cina, la cui superiorità rispetto al resto delle nazioni è ribadita da un recente studio del magazine «Forbes» secondo il quale ben l’85 per cento delle aziende cinesi è impegnata a sviluppare forme più o meno avanzate di intelligenza artificiale mentre gli Stati Uniti seguono con il 51 per cento.
Trattandosi dei Paesi con i maggiori Pil del Pianeta ciò equivale ad un’onda d’urto imponente. Il punto è che si tratta di approcci opposti ed entrambi estremi.
Negli Stati Uniti infatti il governo dei dati è di fatto nelle mani di un gruppo ristretto di grandi corporation private, in gran parte basate nella Silicon Valley, che dispongono delle reti attraverso cui i dati vengono scambiati mentre nella Cina Popolare la rete è controllata da un unico attore: lo Stato. Ciò significa che in America – e in gran parte dell’Occidente – i dati dei cittadini sono nelle mani di pochi giganti privati che possono trarne significativi vantaggi economici, mentre in Cina si tratta di uno strumento politico-economico nelle mani esclusive del regime. In entrambi i casi la privacy degli individui – ovvero i diritti digitali – è a rischio. L’Unione Europea, grazie alla legislazione che il Parlamento di Strasburgo ha iniziato a varare, si sta dotando di un approccio diverso basato proprio sulla protezione dei diritti digitali – dalla riservatezza alla proprietà intellettuale – ma il percorso è ancora lungo e soprattutto il minore sviluppo digitale rende l’Europa assai meno competitiva sul fronte della realizzazione.
A prevalere al momento dunque è la Cina perché potendo disporre senza restrizioni e in tempo reale, 24 ore su 24, di tutti i dati prodotti dai suoi circa 1,4 miliardi di abitanti è in grado di sviluppare l’intelligenza artificiale ad una velocità senza rivali ed è un vantaggio che si deve tanto agli investimenti tecnologici quanto all’assenza di democrazia. Il rischio è che, di conseguenza, le aziende cinesi possano arrivare prima di altri a disporre di programmi di intelligenza artificiale talmente avanzati ed a buon mercato da inondare l’Occidente, conquistandolo digitalmente dall’interno senza colpo ferire. Da qui la necessità per le democrazie di darsi in fretta un corpo di norme sulla realtà digitale capaci di proteggere i dati dei cittadini. Trasferendo lo Stato di Diritto nel cyberspazio per consentirgli di governare e di coesistere con l’intelligenza artificiale. E per riuscirci gli alleati europei e nordamericani non hanno scelta: dovranno agire assieme, a livello sovrannazionale, unendo lo sviluppo tecnologico americano alla determinazione europea nel legiferare sui diritti. È una sfida temibile ma vitale per le democrazie.