il venerdì, 1 febbraio 2019
A casa di Massimo Bordin, un radicale libero
È l’ultimo dei Mohicani. La sua seguitissima rassegna stampa, due ore ogni mattina da trent’anni ("ma nei primi anni sostituivo Taradash che la inventò"), non è più una trasmissione ma è una comunità, la piazza radiofonica dell’Italia che ancora pensa e si dispera. E infatti su Facebook c’è persino un gruppo chiuso che si chiama “Melomani bordiani” con la seguente carta d’identità: “Obbligo di pacatezza, solo per gli appassionati della sommessa ironia e dell’immensa cultura del titolare di Stampa e Regime”. Il culto della personalità è goliardico: “Questa pagina ammette il dissenso ma, purtroppamente, si nutre di adorazione “. E ancora: “Non c’è niente di meglio che aver giurato Amore e professare: adorazione, genuflessione e ammirazione incondizionata ad un paladino della laicità!”.
Dice Bordin: “È un gioco, un passatempo scherzoso, una delle tante invenzioni del giornalista Vittorio Zambardino, che poi si tirò fuori”. Ma il tono scanzonato è solo una vernice, basta grattarlo per trovarvi l’amarognolo. Sintetizzo un lungo Bordin: “Garantismo, non violenza, diritto, libertà, anche quella di dire sciocchezze, battaglie perse, ma senza scioperi della fame e tanto meno della sete, in difesa di un bellissimo mondo che è sicuramente radicale e pannelliano, ma senza lo spiritualismo di Pannella, perché io sono razionale e non ho slanci ideali, mi piace la sintassi, la prosa più che la poesia, il liberalsocialismo, Calamandrei, Salvemini ma anche Marx, che è il mio primo amore, e nel partito sono allievo di Roccella, Teodori, Jannuzzi, Panebianco e poi, quando finalmente arrivò, di Leonardo Sciascia”. Leggo sul sito dei suoi adoratori: “Bordin è rimasto solo con una bandiera stinta in pugno”.
Ma com’ è possibile che Bordin, con quel respiro affannato che, proprio come la sua radio, ha sempre bisogno d’aria, sia diventato l’eroe dell’autunno radicale, la voce antiquaria e inimitabile di un mondo perduto e rimpianto? “Ma non è vero. Sono il più piccolo dei soldati” nega. Ammette però che la morte di Pannella ha avuto l’effetto-paradosso di trasmettergli un po’ della sua forza: “Gli facevo da spalla, con il compito, non assegnatomi, di frenarne l’insolenza, di bilanciarne la febbre lessicale, di tradurre quel codice apparentemente intraducibile”. E invece oggi è il simbolo di una radio “sicuramente ancora molto viva” dentro un mondo che è morto: “L’ho diretta per 19 anni, sino al luglio del 2010. Entrai nel lontano 1979, quando la radio fu fondata. Il direttore era Lino Jannuzzi e il caporedattore Marco Taradash”.
"Dopo la morte di Pannella si è capito” spiega con malinconia “che, senza di lui, non hanno un futuro autonomo i radicali, se non federandosi con qualcuno, diventando ciuffi, cespugli”. Al contrario “la Radio ce la farebbe certamente se il nuovo regime rinnovasse, come dovrebbe, la convenzione che scade a maggio e che ci permettere di trasmettere integralmente le sedute parlamentari. Senza il rinnovo della convenzione – 10 milioni l’anno – sarà costretta a chiudere. Il problema piccolo è il destino di chi ci lavora: io sono il solo ad arrivare alla pensione. Ma il problema grande è la fine di questo servizio pubblico, unico in Italia: trasmettiamo non solo tutte le sedute parlamentari, ma anche i processi, i dibattiti interni alle istituzioni, i congressi, le assemblee sindacali, i movimenti, abbiamo un archivio enorme e straordinario. Svolgiamo un lavoro essenziale e costiamo pochissimo”.
Ma come ha fatto Bordin, che pure non era un predestinato, a diventare il sacerdote di una religione che non c’è più? Un giorno Pannella, che aveva l’occhio lungo, in diretta alla radio disse semiserio che Bordin era ormai più popolare dello stesso Marco e di Emma messi insieme. Più spesso gli dava dello stronzo, e una volta – è la mia piccola testimonianza – mi disse che era “uno stronzo dalemiano” e poi scoppiò a ridere, perché, mi spiegò: “Il sostantivo è un complimento e l’aggettivo un insulto”.
Stronzo è parola radicale, e non solo perché Pannella la usava tanto, ma perché è imprendibile, divertita, così piena di significati da essere insignificante. Come scrisse Stefano Bonaga nella sua Semantica dello stronzo: “Nessuno sa spiegare cosa sia uno stronzo ma tutti capiscono chi è uno stronzo”. Ecco: nessuno sa spiegare Bordin, ma tutti sanno chi è. Come mai? “Ma che dici! Sono solo riservato. Non mi piacciono quelli che si mettono in mostra”. Dimmi per cominciare come sei diventato radicale: “Seguendo una bionda”. Una questione privata, dunque, come la Resistenza per il partigiano di Fenoglio. “Beh. Detto così sembra una figata”. Vediamo se è vero che fai il misterioso: dimmi il nome della signora. “No”. È diventata tua moglie? “La mia prima moglie”. È la madre di tuo figlio? “Sì”. Era la tua compagna di banco al liceo? “No, era più piccola di due anni e frequentava il Virgilio”. Ecco: si chiama Annamaria ed è bruna.
Ricominciamo daccapo: “Sono romano, la scuola l’ho fatta male, direi che l’ho bazzicata più che frequentata. Quando andava bene passavo con il 6, se no ero bocciato. Elementari col fiocco e il grembiule alla Ugo Bartolini, medie alla Settembrini, poi semiconvittore al San Leone Magno, quindi all’Eur al liceo Vivona. Ogni tanto mi espellevano, spesso litigavo con i professori ed ero costretto a cambiare scuola. Nel 1965 avevo 14 anni e vagamente frequentavo il Pci di via Tagliamento, leggevo La sinistra, la rivista di Lucio Colletti, e vivevo con mia madre, Elisa, che si era separata e lavorava presso uno studio medico. Mio fratello Cristiano viveva con mio padre, Antonio, che lavorava al ministero. Oggi Cristiano abita a Verona, dove ha una libreria antiquaria. Bordin è un cognome veneto perché la famiglia di mio padre era del Delta Padano, provincia di Rovigo, contadini, commercianti di granaglie, acqua e pianura: sono luoghi mitici della cultura italiana, gente senza ombra. Divenni trotskista prima ancora di diventare adulto”.
E Pannella? Nei giorni del referendum sul divorzio, Bordin che, nel 1974 aveva 23 anni, vide con i suoi compagni uno striscione dell’Msi steso tra due alberi, in piazza Venezia. Come imponeva la religione di quegli anni, cominciarono a tirarlo giù per bruciarlo. “A quel punto Pannella fece la sua comparsa, non ancora esibendo i comandamenti della sua pedagogia educativa che formava caratteri, ma solo seccandosi: ’Lasciate perdere: la polizia non aspetta altro’”. Bordin, che era già malinconico ma sorridente, estremista ma ironico, pensava che lo scontro con la “sbirraglia fascista” fosse un rito di santificazione, e gli rispose così: “E noi non aspettiamo altro che la polizia”.
"Quello fu il mio primo incontro con Pannella. Ma non fu la via di Damasco, il passaggio dal marxismo al radicalismo, dalla filosofia leninista di Trockij alla non filosofia di Gaetano Salvemini: no, anche se è vero che alla fine non bruciammo quello striscione. In realtà la mia prima radio fu Radio Città Futura di Renzo Rossellini: facevamo le dirette dei cortei, era la radio del Movimento del ’77”.
Nel ritratto del radicale da giovane, che è un’epica tramandata solo oralmente, le lotte degli anni Settanta per Bordin sono tutte storie d’amore. Ma è difficile da far capire ai ragazzi di oggi che il maître à penser della Quarta Internazionale, l’intellettuale Livio Maitan, era una specie di contraltare di Lucio Battisti, il rifugio, anche sentimentale, dei giovani impegnati che come Bordin disprezzavano ’i giardini di marzo si vestono di nuovi colori’. Davvero ci si amava leggendo gli scritti giovanili di Marx. Alcuni – pochi – affrontavano i Manoscritti economico-filosofici del 1844, i testi di Lukács, Korsch, Bloch, Marcuse e la Scuola di Francoforte. Gli altri – la maggioranza – divoravano l’opuscoleria rivoluzionaria che spiegava il mondo in ottanta pagine: “Io per la verità mi impegnavo anche con i libroni, ho letto persino Pietro Secchia. E collaboravo con Praxis, la rivista di Mario Mineo, roba per palati fini. La letteratura invece non aveva gran seguito e ancora oggi, che pure la amo, preferisco la saggistica”. Dicono che eri noioso: “Confermo. E lo sono ancora”.
Entro in casa di Massimo Bordin alle 10 e mezza di domenica mattina. Famosa è la distinzione che faceva Flaiano, a proposito degli intellettuali romani, fra diambuli e nottambuli. Bordin di natura sua sarebbe nottambulo: “Nonostante la mia sveglia suoni alle 5, non riesco ad andare a letto presto”. Non starò qui a raccontare la rassegna stampa a chi non l’ha mai ascoltata (ma chi non l’ha mai ascoltata?), mi limito a dire che ha un calo quando, dopo il sommario, Bordin legge per un quarto d’ora tutto quello che i giornali pubblicano sui radicali, fosse pure una citazione di mezza riga: “Mi commuove la fedeltà degli ascoltatori che, a quel che ci risulta, aspettano pazienti”.
Al nottambulo mattiniero capita durante il giorno di appisolarsi: colpi di sonno che hanno alimentato la leggenda che Bordin dormisse mentre parlava Pannella durante quella trasmissione cult che era la conversazione domenicale: “I compagni radicali lo ascoltavano con la stessa fedeltà con cui i compagni comunisti ascoltavano Togliatti. Pannella, però trasmetteva soprattutto emozioni”.
La casa di Bordin è arredata con i libri. Capita che arrivi Pierpaolo, il figlio trentenne che fa lo steward per Ryanair: un figlio solo, due mogli, e una compagna per dieci anni, Marianna Bartoccelli, affascinante giornalista, anche lei espertissima di politica giudiziaria, siciliana saracena, morta a 64 anni: “Tra le tante cose che le devo c’è l’amore per la Sicilia, Palermo soprattutto, ma anche le Eolie, Sferracavallo, San Vito Lo Capo, Villarosa, Caltanissetta...”.
Con il suo aspetto imponente: “Sono alto 1,90, ma Pannella era più alto”. Con i suoi quarant’anni di militanza radicale: “Ma non prendevo mai la tessera”. Con i suoi tre pacchetti al giorno di Chesterfield, le stesse di Sciascia: “Ma Pannella ne fumava di più, e ora anche io, come già accadde a lui, fumo quasi soltanto sigari perché mi hanno trovato un blocco respiratorio”. Con i suoi occhi majakovskijani, teneri e paurosi, il viso spinoso e salato da marinaio: “Somiglio a mia madre”. Con la famosa voce che è ragionamento ed emozione grazie a quel singolare contrasto tra l’affanno e i pensieri ordinati: “È vero che non mi impappino e che solo la tosse è torrenziale”. Con quel catarro radiofonico che accompagna la parola intelligente e garbata, i suoni gutturali, gli starnuti, gli strozzamenti e l’italiano pulito e senza parolacce. Con tutte le sue radicalità, il suo garantismo, il suo pacatissimo disprezzo per il processo sulla trattativa Stato-mafia, la sua fedeltà – a rischio di stravolgimento – allo Sciascia dei professionisti dell’antimafia, il suo pannellismo pigro e guardingo, Bordin è la montagna che sopravvive alla fede che l’ha spostata.