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 2019  febbraio 02 Sabato calendario

Errori e gaffe degli scrittori

Errare è umano, perseverare è Letteratura: strafalcioni storici, salti spazio-temporali, buchi neri nella trama, morti che resuscitano, leggi della dinamica che non funzionano, bancomat accessibili prima ancora di essere inventati, delfini presi per pesci (e a pesci in faccia)… La commedia degli errori nei romanzi è corposa e spassosa, dalle novità in libreria indietro fino ai classici dell’Ottocento.
Nelle ultime settimane, per dire, mentre Kathryn Schulz licenziava L’arte di sbagliare (Bompiani), Michel Houellebecqveniva massacrato su Twitter per una svista in Serotonina (La nave di Teseo): uno dei personaggi, infatti, scambia Ummagumma per Atom Heart Mother, entrambi album dei Pink Floyd, attribuendo fallacemente al primo la mucca in copertina del secondo. Figuraccia rubata all’agricoltura, ma peggio è andata ad Antonio Scurati, bacchettato da Ernesto Galli della Loggia sulle colonne del Corriere della Sera: nelle 850 pagine di M. – Il figlio del secolo (Bompiani) il professore ha rintracciato una decina di errori – da penna blu e da penna rossa – oltre a numerosi svarioni, “ma non mi sembra il caso di pignoleggiare”. Le cantonate più gravi attengono alla Storia: Pascoli confuso con Carducci; Croce scambiato per accademico e Gramsci per politologo; elettricisti e telescriventi fuori luogo e anzitempo; Francesco De Sanctis redivivo 39 anni dopo la morte, e via così. Una Caporetto, citata ovviamente con la data sbagliata.
Da bravo giallista Roberto Costantini si ritrova lettori-detective più agguerriti e pignoli di lui, sulle tracce di refusi e incongruenze disseminati tra le pagine: “Lunedì 23 agosto 1982 – si legge in Alle radici del male (Marsilio, 2012) – Anita Messi non aveva usato bancomat o carte di credito durante le poche ore tra l’arrivo a Roma e il momento in cui era stata uccisa. Del resto era una poveraccia, probabilmente non le possedeva”. Ovvio che non le possedeva: il bancomat è arrivato in Italia solo nel 1983, il pauperismo non c’entra nulla. Nella Moglie perfetta (Marsilio, 2016), poi, il commissario Balistreri – tabagista incallito – si concede il lusso di fumare sotto un cartello “No smoking”. Ma è il 2001: le sigarette nei luoghi pubblici erano ancora consentite. Altri svarioni di quel romanzo – e in quell’anno – sono i cellulari con fotocamera e le “cavolate di Facebook”; peccato che Zuckerberg ai tempi fosse solo un adolescente brufoloso.
La più bersagliata, però, resta J. K. Rowling: online spopolano siti, blog e post che snocciolano, compiaciuti, tutte le gaffe e le imprecisioni nella saga di Harry Potter: dal protagonista erroneamente definito “mezzosangue” agli sbadati gemelli Fred e George, che non si accorgono della presenza di Peter Minus sulla Mappa del Malandrino; dal potentissimo incantesimo con tre bacchette, dimenticato dai più, agli occhialetti di Harry stesso, che però è un mago. E che mago è se neanche ci vede? Una svista bella e buona.
Lunghezza è difficilmente sinonimo di accuratezza, come insegna Marcel Proust: scambio di nomi dei personaggi, lassi di tempo perduto, quadri di Vermeer rielaborati con un muretto al posto del tetto, uomini morti due volte (lo scrittore Bergotte) e altri defunti un momento e resuscitati 40 pagine dopo (il dottor Cottard)… È vero, però, che lo scrittore non ebbe modo di rileggere l’intera e fluviale Recherche, via via emendata dagli editori. Ha meno scusanti, invece, Ernest Hemingway, che nel breve Il vecchio e il mare attribuisce a un povero delfino, appena sventrato, le “branchie”, non i polmoni come ogni mammifero che si rispetti: sarà stato geneticamente modificato.
Altri classici dell’abbaglio sono i romanzi russi: ad esempio, nel Giocatore, Fëdor Dostoevskij inanella anacronismi, lapsus e imprecisioni, tra personaggi che scompaiono nel nulla, conti che diventano marchesi, 250 denari che risultano 200 grazie allo sconto dell’autore, mattinate “grigie” in cui il “sole illumina la stanza”. Oltre al meteo, Dostoevskij ha seri problemi con il tempo (nell’Idiota una sola giornata copre inverosimilmente tutta la prima parte del libro), laddove il collega Lev Tolstoj li ha col moto. In Guerra e pace la fisica presta il fianco ad alcune metafore militaresche: “La forza (la quantità di movimento) è il prodotto della massa per la velocità”. Il “movimento” al posto del “moto” potrebbe essere una papera del traduttore, ma la “velocità” scambiata con l’“accelerazione”? Newton non pervenuto, ma forse si trova un posticino per Brecht. E che fa? “Sto lavorando duro: preparo il mio prossimo errore”.