Avvenire, 2 febbraio 2019
La guerra per l’Africa, di nuovo
Si allungano le ombre della nuova Guerra fredda in Africa. Sullo sfondo si staglia la lotta per le risorse energetiche, per i contratti di armamento e per accattivarsi i favori dei governi subsahariani. L’Africa significa 50 voti nelle assise dell’Onu. Ecco perché le macro-tensioni internazionali si propagano come onde sismiche nel continente, come cinquant’anni fa. C’è una danza delle basi. Dal Centrafrica alla Libia, passando per il Burkina Faso e il Mozambico, Mosca piazza le sue pedine. Se Bangui sembra il pivot strategico, molti assi di penetrazione vi si diramano. Oltre che in Sudan e in Repubblica democratica del Congo, l’attività diplomatica e militare russa è già stata segnalata in Etiopia e in Ruanda. Evgeny Korendyasov ha dichiarato all’Accademia delle Scienze: «Ci sarà una battaglia per l’Africa». E la Russia la combatterà. Per ora è certo che aprirà un hub logistico in Eritrea, avendo ben compreso la centralità strategica del Corno d’Africa, puntellato di installazioni militari straniere.
Perfino gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita hanno basi nella baia di Assab, in Eritrea. A sud-est della capitale eritrea, fra Massaua e Amba Soira sorgerebbe invece una stazione di ascolto e di sorveglianza israeliana. Invisa a Israele, Riad e il Cairo, anche la Turchia manovra dietro le quinte. Ha una presenza militare permanente nel Mar Rosso, nel porto sudanese di Suakin e, presto, a Gibuti. Senza dimenticare la base di Mogadiscio e le mire sul Sahel, sul Ciad in particolare, visitato da Erdogan nel suo periplo africano del dicembre 2017. Un’iniziativa mal digerita da Parigi, che considera l’area come il proprio giardino di casa. Siccome l’Africa sarà ancor più domani un bacino di risorse imprescindibili per le tecnologie moderne. Stati Uniti e Cina sono già in prima linea. L’Africom americano controlla più o meno permanentemente 32 siti e punti d’appoggio, con facilità principali a Gibuti e nell’isola di Ascen-sione.
Dodici “hub” di sicurezza sorgono fra Dakar e Mombasa, nel cuore pulsante del jihadismo africano. Nello stesso corridoio centrale sono americani venti siti di contingenza, occupati sporadicamente dalle forze speciali, come piccoli avamposti nelle retrovie.
Se la nuova strategia americana punta a vincolare gli aiuti filo-africani alle riforme, il suo vero obiettivo è contenere «la Cina e la Russia». La crescita di Pechino è impressionante e opaca. Dalla base di Gibuti transiterebbero armi cinesi verso più paesi, Sudan e Sud Sudan in testa. A denunciarlo è Exx Africa, che aggiunge: «Armamenti cinesi sono già stati rinvenuti in zone di conflitto sotto embargo, come Guinea Equatoriale e Burundi». Il solito effetto collaterale della competizione fra grandi potenze.