Corriere della Sera, 2 febbraio 2019
Alex non suda e rischia di morire
Alex ha 11 anni ma non può correre e giocare come gli altri bambini. E non può nemmeno fare castelli di sabbia sulla spiaggia o in genere esporsi al sole per molto tempo. Il fatto è che il suo corpo non tollera né il calore né la luce perché è incapace di regolare la temperatura: se il suo termometro interno si alza troppo lui rischia una grave ipertermia che può arrivare a mettere in pericolo la sua vita.
Alex soffre di una malattia genetica rarissima, che colpisce la pelle ma anche altri organi. E ha un nome impronunciabile: XLPDR, che sta per «Disordine reticolare della pigmentazione legata al cromosoma X». Il suo è l’unico caso conosciuto in Italia. In tutto il mondo ne esistono 21. Ad Alex e a loro è dedicato il documentario di Kemal Comert Pensavo di essere diverso — in proiezione oggi a Roma, al festival internazionale del cinema «Uno sguardo raro» —, presentato dall’Associazione XLPDR International Association onlus per far conoscere la malattia.
Da quando è nato, Alex è stato ricoverato più di 60 volte. «Ho passato tanto tempo in ospedale – racconta lui nel documentario —. Ho macchie sulla pelle color caffellatte, occhi che si seccano facilmente e a volte mi fanno male... Ci vedo più da uno che dall’altro. Non sudo, quindi mi scaldo, se non faccio attenzione muoio». Al regista che gli chiede «Ti senti diverso?» risponde: «Non per la malattia rara, solo che quando mi scaldo, mi dispiace un po’ che non posso tornare a giocare. È successo che due miei compagni non si avvicinassero troppo a me perché pensavano che fossi contagioso: ho spiegato loro che non lo ero e ha funzionato, anche se ci hanno messo un po’ a capirlo». Insomma: «Ognuno di noi è diverso. La perfezione non esiste, ma esistiamo noi con la nostra diversità».
Patrizia è la mamma di Alex, il suo racconto dei primi tre anni di vita del figlio è quello di «un calvario»: «Nessuno riusciva a capire di cosa soffrisse Alex – dice —: diagnosi errate, due ricoveri in terapia intensiva, continue infezioni respiratorie, macchie sulla pelle trattate come dermatite atopica. Dopo un lungo peregrinare è arrivata la diagnosi di XLPDR. Finalmente sapevo che nome dare alla malattia di Alex ma nessun ospedale se ne era mai occupato. Dopo vari tentativi ho trovato il Burlo Garofalo a Trieste».
Patrizia inizia a documentarsi, crea una pagina Facebook, fonda un’associazione col nome della malattia per rintracciare altre famiglie, confrontarsi, superare il senso di solitudine. Scrive email a ospedali di tutto il mondo per trovare medici che si occupano della malattia. Finché la contatta su Facebook un genetista del Texas, Andrew Zinn, che studia la XLPDR e, nel 2016, scopre il gene responsabile. Un passo avanti per poter sperare in una futura terapia. Anche se, osserva Patrizia, «servono fondi per la ricerca e non è facile trovare aziende o enti disposti a investire per curare pochissimi malati. Mio figlio e gli altri, però, hanno diritto come tutti ad avere cure adeguate».
E poi c’è anche la burocrazia da combattere. «La XLPDR, non essendo inserita nell’elenco delle malattie rare, non ha codice di esenzione – spiega —. Ma Alex ha bisogno di prodotti per lui salvavita. Dopo diverse battaglie, ora ce li passano con un’autorizzazione speciale che scade ogni anno. Per il rinnovo passano tre mesi e, nel frattempo, acquistiamo tutto di tasca nostra, spendendo circa 800 euro al mese».
La famiglia di Alex ha dovuto combattere anche per ottenere il riconoscimento dell’invalidità. «L’anno scorso – ricorda Patrizia – Alex è stato riconvocato dopo appena 10 mesi. Quel giorno aveva la febbre a 39 e in commissione qualcuno gli ha chiesto, senza nemmeno leggere la documentazione: “Quelle macchie ti vengono quando hai la febbre?”».