Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  febbraio 02 Sabato calendario

Amazon incassa più del Perù, eppure

Nel 2018 Amazon ha incassato 233 miliardi di dollari, una cifra superiore al Pil del Perù. La creatura di Jeff Bezos resta dunque una straordinaria macchina da soldi, ma c’è anche un lato un po’ più oscuro della luna. È quello costato ieri al gigante dell’ecommerce un calo del 5% a Wall Street nonostante una trimestrale del quarto trimestre infiocchettata con numeri da record. Il problema è che il mercato è ormai abituato a ragionare – e ad agire – sulle prospettive. E quelle relative al primo scorcio del 2019 non appaiono esaltanti, soprattutto per quanto riguarda le stime di fatturato e le linee strategiche. 
Del resto, già i dati dell’ultimo quarter segnalano una certa incapacità di mantenere il passo di crescita del passato. I 72,4 miliardi di giro d’affari hanno sì battuto le aspettative, ma l’incremento del 19,7% è stato il minore degli ultimi quattro anni. Colpa dei rapporti di cambio, si è giustificato il cfo Brian Olsavsky. Ora da Seattle si guarda con una certa apprensione alla legge, entrata in vigore ieri in India, che vieta alle piattaforme ecommerce di vendere i prodotti attraverso proprie partecipate o di distribuirli in esclusiva. C’è il rischio di un aumento dei costi. E poi c’è anche da considerare l’effetto sul giro d’affari indotto dal rallentamento dell’economia globale. Qualche scricchiolio si è già sentito nell’ultimo periodo del 2018, quando l’aumento delle vendite internazionali è diminuito dal 29% di ottobre-dicembre 2017 al 15%. 
È però anche probabile che Amazon stia iniziando a scontare il fatto che il suo core business, le vendite in rete, ha ormai raggiunto una maturità tale da impedire le abituali progressioni esponenziali. Un segnale in tal senso può essere il ritmo non più tumultuoso (un +26% contro l’abituale +50%) della crescita dei servizi in abbonamento, una frenata imputabile in massima parte ai rincari subiti dalle consegne rapide Prime (da 99 119 dollari negli Usa). Inoltre, alcuni competitor (come Walmart e Target) hanno massicciamente investito nell’online per assecondare il cambio di abitudini nello shopping. È una situazione che rende Amazon cauta: i ricavi, a fine marzo, dovrebbe attestarsi fra i 56 e i 60 miliardi, una forchetta sgradita a Wall Street perchè esprime un progresso tra il 10 e il 18%. Troppo poco. Così come qualcuno ha storto il naso di fronte ai 3 miliardi di utili (10 nell’intero 2018) – un 66% in più rispetto all’anno prima, nonchè l’intero ammontare del 2017 – che indicano un cambio di rotta rispetto alla tradizionale strategia fatta di profitti bassi per finanziare gli investimenti. 
In questo modo, Bezos potrebbe però voler anche enfatizzare i progressi del business esterno all’e-commerce: pubblicità (dove Facebook considera ormai Amazon un avversario) e cloud (Aws) hanno un monte vendite inferiore ma margini più ampi. La scommessa del futuro sembra proprio questa: traghettare la regina del commercio in rete verso nuove e redditizie aree di business. Come sempre, le scommesse hanno un rischio. Che ai mercati può non piacere.