la Repubblica, 2 febbraio 2019
Il mito delle fettuccine Alfredo
Compiono gli anni le fettuccine di “Alfredo”, istituzione romana e richiamo turistico d’oltreoceano da oltre cent’anni. Quale sia precisamente l’anniversario, e se la ricetta delle fettuccine sia al “doppio e maestoso” burro, come da antico menu, o addirittura al “triplo”, rimane un dato tutto sommato secondario, avendo la casa madre subito uno scisma, per cui c’è un “Alfredo” a via della Scrofa e un altro “Alfredo” a piazza Augusto Imperatore, entrambi comunque rinomati per quella mitica pastasciutta.
Sta di fatto che a partire dal 1914 il capostipite Alfredo Di Lelio ebbe un successo strepitoso, soprattutto fra gli stranieri, grazie a un’intuizione geniale e coraggiosa nella sua semplicità: offrire fettuccine in bianco in una città che a tutto mescola strenuamente il pomodoro. Ma come un profeta della gastronomia visiva, egli volle anche che la mantecazione finale del burro nel parmigiano fosse accompagnata in sala da uno spettacolo con tanto di orchestrina napoletana, una sorta di cerimonia e/ o di pantomima con risvolti circensi.
In tal modo descrisse questo teatro dell’arte Paolo Monelli nel suo Ghiottone errante (1935): «Compare il trattore, baffi e pancetta da domatore, impugnando posate d’oro; e si avvicina al piatto delle fettuccine. La musica tace, dopo un rullio ammonitore che ha fatto ammutolire anche i clienti in giro. Il trattore sente intorno a sé un’aureola di sguardi. Alza la forchetta e cucchiaio in cielo, come per propiziarselo; poi li tuffa nelle paste, le sommuove con un moto rapido, matematico, il capo inclinato, il respiro trattenuto, il mignolo sospeso. Due camerieri, impalati, assistono al soglio. Pesa intorno il silenzio. Finché la musica scoppia in allegro brio, il trattore ripartisce le porzioni, poi va a riporre le posate d’oro e scompare». Riaccese le luci, Alfredo ricompariva tra gli applausi. Gli americani letteralmente impazzivano.
Ma fosche nubi già si addensavano sull’Urbe. Nel 1938, fresco di sanzioni e restringimenti alimentari, Mussolini pose l’alternativa secca: burro o cannoni? Incauti, gli italiani risposero: cannoni! Ma non ebbero né questi, né più il burro. L’eterno scetticismo romano scolpì che ottennero i burroni. Ma nel momento bellico più affamato si sparse voce che dal fronte di Cassino il capo della Quinta Armata alleata generale Clark aveva annunciato: «Bisogna finirla presto perché ho fretta di assaggiare le fettuccine di Alfredo». Che era piombato, si capisce, in una cupa crisi depressiva.
Dopo la liberazione, e in seguito, di tutto i suoi nuovi clienti si preoccupavano fuorché del colesterolo. E rifiorì dunque la fama di Alfredo e del suo doppio e triplo burro. Nel locale poterono dunque intrecciarsi tre generazioni di vips, da d’Annunzio e dalle stelle del muto ai novissimi divi americani passando per capi di Stato, sovrani, artisti e sportivi. Quasi tutti sono ormai scomparsi, eppure raffigurati in foto sulle pareti dei due Alfredi: a garanzia imperitura delle fettuccine e controprova suggello dell’enorme potere che i morti esercitano sulla vita.