la Repubblica, 2 febbraio 2019
Consob, una via di fuga per Savona
Paolo Savona non parla mai a caso. Non ama le dichiarazioni spot, non è uomo da tweet. A 82 anni preferisce i ragionamenti, le riflessioni attente, le citazioni. Seleziona i luoghi e le occasioni in cui esprimersi. È colto e assai narciso. Finge di schermirsi quando si sente costretto a rispondere alle domande in pubblico. Ma se deve farlo, o sceglie di farlo, sa sfruttare l’occasione con ricercata eleganza. Come ieri, a Firenze. Domanda: “Sarà lei il prossimo presidente della Consob?": «Non so cosa stia succedendo alle mie spalle», ha risposto l’economista che studiò anche al Mit con Franco Modigliani, e ancor prima fu “emigrante sardo” come egli ha voluto definirsi nel sontuoso libro autobiografico “Come un incubo e come un sogno. Memorialia e Moralia di mezzo secolo di storia”. Titolo che dice tutto sul lessico, e non solo, dell’autore. Insomma ci siamo: questa volta il ministro, controvoglia, agli Affari europei potrebbe farcela ad uscire (senza scosse) da un governo nel quale avrebbe voluto il posto (e il ruolo) che oggi è di Giovanni Tria.
Perché, ieri, Savona non ha volutamente smentito. E nemmeno si è trincerato nell’anglosassone “no comment”. Sa che è lui il nuovo candidato per la Consob, dopo le crescenti difficoltà che ha incontrato Marcello Minenna. Per Savona – ministro deluso – la migliore via d’uscita possibile. Forse anche inaspettata.Da tempo – nonostante le smentite di rito – si dice infatti che Savona sia tentato di mollare.
Lasciare un incarico di serie B che non gli permette di essere protagonista, di indicare (non solo a parole) gli obiettivi di politica economica, di trattare con i tecnocrati di Bruxelles ispirati dagli interessi della Germania. In questi mesi non ha fatto nemmeno il “ministro ombra” dell’Economia. Proponeva una politica economica a suon di massicce dosi di investimenti, si è ritrovato con la legge di Bilancio di “quota 100” e reddito di cittadinanza. Più spesa pubblica e meno investimenti. Ha partecipato a qualche riunione di una presunta cabina di regia di cui in pochi si sono accorti dell’esistenza ma che forse è servita a istruire un po’ i colleghi ministri gialloverdi palesemente carenti di nozioni della scienza economica.
Marginale, dunque, nelle dinamiche della maggioranza visto il suo essere (orgogliosamente) tecnico; ininfluente nelle trattative con la Commissione di Bruxelles per le quali i due azionisti del governo, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, hanno deciso di delegare (indebolendo Tria) Giuseppe Conte.
Savona, dunque, ministro estraneo al governo. Una parabola discendente, la sua. Eppure doveva essere il pivot del nostro primo governo sovranista-populista, doveva essere il ministro dell’Economia per smontare i paletti di Maastricht, le asimmetrie delle istituzioni europee, la germanizzazione della Commissione. Il suo “piano B”, quello immaginato per uscire dall’euro che aveva sedotto grillini e leghisti, lo ha condannato, invece, alla sua “serie B": Sergio Mattarella non l’avrebbe mai nominato all’Economia.
Savona ci ha provato ad uscire dall’angolo. Quest’estate ha inviato alla Commissione di Jean-Claude Juncker una poderosa proposta per mutare l’architettura istituzionale dell’Unione: “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”. Juncker l’ha infilata in un cassetto, e lì è rimasta.
La Consob può essere la sua rivincita. Anche se nel 2009 fu rinviato a giudizio con l’accusa di aggiotaggio per i bilanci di Impregilo di cui era presidente. Il reato venne estinto per prescrizione l’anno dopo.