la Repubblica, 2 febbraio 2019
Pokerista per beneficenza
Il buddismo è arrivato dopo la passione per il poker, ma alla fine ha avuto la meglio. Scott Wellenbach ha vinto 890mila dollari al tavolo verde del torneo delle Bahamas di gennaio, classificandosi terzo, e li dona tutti in beneficenza. «Non mi sembra così eccezionale quello che faccio. Li ho dati via per rimanere con i piedi per terra», racconta a Repubblica. Questo signore di 67anni, nato negli Stati Uniti ma residente in Canada, ha trovato il modo di non rinunciare alle proprie passioni sconfiggendone il lato debole: l’avidità. Questa non è la prima volta infatti che Scott vince a poker. Da quando ha scoperto quello che lui stesso definisce “il folle gioco”, non ha mai smesso di vincere. Migliaia di dollari, tutti in beneficenza.
Due anni fa a Barcellona ne ha vinti 62mila e li ha regalati alle monache buddiste del Nepal: «Il buddismo, come tante religioni, ha ancora difficoltà a riconoscere la parità dei sessi. Le donne devono studiare, perché sono un passo avanti rispetto a noi uomini. Abbiamo bisogno di loro». A 8 anni Wellenbach anni conosce il poker, sulle spiagge del New Jersey: «Quando pioveva i bagnini giocavano sotto la tettoia. Per me erano dei miti, e tutto quello che facevano era da imitare». Non ha mai più smesso. Nonostante si consideri un giocatore dilettante, è di fatto un professionista, presente a tutti i tornei a cui riesce a partecipare. «Il casinò della Nuova Scozia è casa mia. È un gioco folle, che alimenta l’egoismo e rischia di degenerare in malattia. Ma non posso farne a meno».
La sua salvezza è stata il buddismo. «Al liceo ho iniziato a frequentare un corso di storia asiatica. Mi affascinavano l’induismo e il buddismo e così ho iniziato a studiarli, ma non meditavo». Un dolore lo ferma nella sua corsa adolescenziale: «La mia ragazza mi lasciò. Ero infelice. Incontrai Chögyam Trungpa (maestro di meditazione tibetano, vissuto in Canada, ndr). La tecnica che usava mi colpì tantissimo e ho iniziato a seguirlo». E non l’ha più lasciato. Tant’è che il suo mestiere, quello che gli consente materialmente di permettersi le sue avventure da giocatore d’azzardo, è il traduttore di testi in sanscrito e tibetano. «Meditare mi consente di rimanere amico di me stesso, e di essere gentile con gli altri». Amico di se stesso per Scott vuol dire non perdere di vista la potenziale distruttività del poker: «È un gioco che rischia di farti perdere la dignità, di annullarti nel mondo dell’avidità. Quando gioco spesso sono disperato. Quelli sono i momenti in cui medito di più».
Per lui nulla è scontato. Ogni giorno è una sfida. «Quando perdo mi sento scoraggiato. Ma è una lezione del poker: vinci e perdi in pochi minuti. Nel tempo la paura mi è diventata familiare, e con essa la speranza». La strada di Scott è tutta in salita, ma lui è soddisfatto delle sue scelte. «Tutti siamo dipendenti da qualcosa. La domanda è: come la gestiamo questa dipendenza?». Scott ha scelto di gestirla a modo suo, per non fare a meno delle emozioni che gli provoca: «In quel momento, al tavolo verde, nella totale compulsione di questo folle gioco, tu puoi sviluppare la dignità e la gentilezza. Verso gli altri. Verso quelle persone che ti sono capitate, che altrimenti non avresti mai conosciuto».
Vedovo da qualche anno, Scott ha una nuova compagna: «Né mia moglie, né la mia attuale fidanzata hanno mai avuto a che dire su quello che faccio. Anzi, mia moglie era molto orgogliosa di me, soprattutto quando ho iniziato a regalare tutti i soldi che vincevo».