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 2019  febbraio 02 Sabato calendario

La dieta Maduro

Ogni mattina, quando sorge il sole, un venezuelano si sveglia e sa che dovrà correre più veloce dell’inflazione. Ma sa anche che non ce la farà. Perché l’inflazione, nel paese di Nicolás Maduro, non è solo una semplice dinamica macroeconomica. È una specie di divinità maligna che manovrando prezzi e banconote, silenziosamente divora stipendi ed esistenze.
La pensione
Sono le dieci del mattino, a Caracas, e Olga – settant’anni, lineamenti indio – ha cominciato già da un paio d’ore la sua disperata corsa quotidiana. «Chiamami Olguita, abuela Olguita», dice sorridendo mentre procede con il passo sincopato per una leggera zoppia lungo il marciapiede di Avenida Francisco de Miranda. Stava andando al mercato e in onore delle origini italiane del marito «è di Bari me ne parla sempre ma non ci sono mai stata», ha accettato di farsi accompagnare. Strada facendo racconta la sua vita, e le sue parole funzionerebbero benissimo come manifesto contro il regime. «Non sono una povera di Caracas», dice con orgoglio. Prende la pensione minima (19mila bolívares al mese, 6 dollari) i suoi figli le mandano qualcosa dall’America e suo marito affitta ai turisti una casetta più o meno in centro. «Il problema è che i turisti non ci sono più da tempo, e i soldi non bastano mai».

La canasta
Olguita dunque non è una povera. «I poveri non fanno la spesa, hanno la canasta básica dei clap». La canasta básica è uno scatolone venduto mensilmente dal governo a prezzi calmierati con dentro i beni essenziali calcolati per una famiglia media (quattro persone): un chilo di farina, uno di zucchero, carne in scatola, tonno in scatola, riso, cereali, spaghetti, olio di mais e maionese. I problemi sono due: il primo è che il cibo è troppo poco e finisce già a metà mese; il secondo è che per averlo occorre registrarsi ai clap (Comités Locales de Abastecimiento y Producción), e a quanto dicono le opposizioni – i registri dei clap vengono utilizzati da Maduro e dai suoi ad ogni tornata elettorale. Insomma chi vota per il regime mangia di più.
I lecca lecca e la metro Olga parla della canasta basica con esibita distanza. Lei qualche soldo per fare la spesa ogni tanto ce l’ha. «Ma non è facile, i prezzi aumentano a dismisura dalla mattina alla sera, i prodotti non ci sono e quelli che ci sono costano più di quello che ho». Gli esempi sono infiniti, i media internazionali si sono sbizzarriti a fare paragoni tra i prezzi dei vari prodotti, che sembrano stabiliti a caso. Ad esempio: il caffè nero che Olguita si è fatta offrire prima di partire per il mercato costava 2400 bolívares, mentre per il viaggio in metropolitana da casa sua ad avenida Miranda ne sono bastati 4 (0,00125 dollari). A bordo della metropolitana a un certo punto è passato un ragazzo con un sacchetto di Chupa chups, costo di ognuna: 250 bolívares. Con un lecca lecca a Caracas ci fai 62,5 viaggi in metropolitana.

La dieta Maduro 
Il dato più drammatico è però senza dubbio il rapporto tra il costo dei prodotti e la disponibilità economica in mano ai venezuelani, il salario minimo è equivalente alla pensione minima: 19mila bolívares. Un chilo di formaggio oggi sta a 13mila bolívares; un cartone da sei uova a 5mila. Olga prende le uova. «I soldi – dice pagando – finiscono in un attimo. Poi comincia la fame». La chiamano la “dieta Maduro”. Poco tempo fa il 67 per cento dei venezuelani dichiarava di aver perso 11 chili negli ultimi due anni. La crisi ha stravolto le abitudini alimentari della popolazione: quasi l’80% ormai si è ridotta a mangiare solo patate, pane e prodotti fatti con farina di mais. Mentre solo il 20 si può ancora permettere frutta e verdura.

Patatine in farmacia
«La verità è che ormai fare la spesa è un’impresa», sbuffa. Occorre intanto avere i soldi, fisicamente. E già quello non è facile. Per i 13mila bolívares della carne servirebbero, nella migliore delle ipotesi, 65 banconote (il taglio più grande in giro è da 200). Ma di banconote non ce ne sono abbastanza. Il governo dunque carica quello che può su una carta di debito, ma il Paese – in crisi di produzione, di importazione e di lavoro – non riesce più a reperire nemmeno la plastica per fare queste carte. Poi bisogna trovare i prodotti. E manca tutto. La carta igienica, il dentifricio, la farina. Ma soprattutto mancano i medicinali, dall’insulina, all’aspirina, dai profilattici alle siringhe. Negli ospedali la gente muore per una sciocchezza. E le farmacie si sono ridotte a vendere ricariche telefoniche e patatine fritte.

Aspettando gli aiuti
Un delirio al quale i venezuelani vogliono mettere fine. Quando ieri si è sparsa la voce che l’Europa stava dando 90 giorni di tempo a un gruppo di contatto per risolvere la crisi lo scontento è stato palpabile. «Tre mesi in queste condizioni sono insostenibili. Non ce la facciamo più. Speriamo che almeno lascino entrare gli aiuti umanitari», sospira tradendo per la prima volta la sua “simpatia” per le posizioni dell’opposizione. La strategia di Guaidó per i prossimi giorni sembra proprio quella di forzare la mano al governo sul punto degli aiuti umanitari: «Se arrivano in porto due navi piene di medicine, voglio vedere chi si assume la responsabilità di non farle attraccare», sorride stringendo tra le dita la busta con le sue uova. Poi saluta e, zoppicando, se ne va verso la metropolitana.