Il Messaggero, 2 febbraio 2019
La prima volta del Qatar
Il capocannoniere del torneo, l’attaccante 22enne Almoez Ali, è di origine sudanese ma cresciuto in quell’Aspire Academy che la famiglia reale Al Thani fondava nel 2004, a Doha, per crearsi la propria cantera. Il miglior giocatore della finale, Akram Afif, spalla di Almoez, cartellino del Villareal (Spagna), è di padre tanzaniano, madre yemenita e, 22enne come Almoez, s’è diplomato pure lui in quella scuola di pallone aperta quindici anni fa nella capitale. Idem, del resto, Bassam Al Rawi, difensore 21enne nato in Iraq e autore della punizione valsa il passaggio ai quarti. Due milioni e mezzo di abitanti, la terza crescita economica più forte al mondo fra 2006 e 2016, quinto produttore di gas naturale nel 2017, il Qatar ha appena vinto la prima Coppa d’Asia della sua storia e il messaggio è che i Mondiali del 2022 (esordio della kermesse in un paese arabo) non li vuole ospitare da semplice comparsa. Vittoria contro tutto e tutti: il paese è oggetto dal giugno scorso di embargo imposto da Arabia Saudita (l’unico stato con cui confina), Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto.
SETTE SU SETTE
Sette vittorie su sette gare. Diciannove gol fatti. Uno appena subito. Tra gli scalpi: gli Emirati Arabi padroni di casa (allenati da Zaccheroni, 4-0) – qatarini bersagliati dall’inizio alla fine, con ululati durante l’inno e un lancio di scarpe dagli spalti -, la Corea del Sud (1-0), il favorito Giappone (3-1 nell’ultimo atto di Abu Dhabi). Il Qatar in Coppa d’Asia (esordio in Kuwait, 1980) non era mai andato oltre i quarti di finale (2000, 2011). È arrivato in vetta con uno spagnolo in panchina, Felix Sanchez, 46 anni, ex allenatore delle giovanili del Barcellona. Mettiamola così: il fondo sovrano ha fatto i suoi sforzi (oltre due miliardi di dollari investiti nello sport negli ultimi 15 anni), le naturalizzazioni hanno fatto il resto. Perché il Qatar che pianta la propria bandierina sulla mappa del calcio asiatico è figlio di uno scouting serrato, Africa, Asia, Sud America, territori battuti sistematicamente ogni anno per cercare pesciolini da «nazionalizzare», allevandoli nell’acquario dell’Academy e coordinato il tutto tramite Josep Colomer, altra figura legata al Barcellona e in particolare a quel Messi di cui fu scopritore.
IL SISTEMA
La storia di Almoez è quella lì, per dire. La regola Fifa? Per una naturalizzazione serve aver giocato cinque anni di fila nel Paese interessato dopo i 18 anni o avere uno dei due genitori nato in quello stesso Paese. Chi attacca le naturalizzazioni del Qatar parla di compravendita, offerte pazze, movimenti al limite del regolamento. Chi ne racconta il sistema più ampio aggiunge al ritratto quella casella dell’Eupen, squadra del massimo campionato belga, di proprietà dello Stato del Qatar dal 2012, in cui si testano i migliori prospetti. In un Paese in cui la maggior parte degli abitanti è straniera, comunque, il calcio non è più, in un certo senso, gioco forestiero. Qui Qatar: nel 2022, a Doha, non si vuole fare le controfigure.