La Stampa, 1 febbraio 2019
La meritocrazia del giardino non premia il lusso
Non sarà elegante dirlo, ma è inutile nasconderselo: i giardini non sono a costo zero, purtroppo mai, a meno forse di essere giardinieri così provetti ed autarchici, con così tanto tempo e con superfici ridotte e facilmente domabili, da non invocare aiuti esterni. Più una favola che la realtà. Le piante si comperano e spesso non a poco, qualcuno magari ci aiuta nei lavori faticosi, gli stessi vasi in terracotta, perché siano resistenti, diventano molte volte già un piccolo investimento...
Detto questo coltivare un giardino non per forza è dispendioso, un lusso che se non siamo in grado di affrontare con munificenza tanto meglio lasciar perdere. Certo risorse abbondanti aiutano, ma non sono necessarie: scambi, talee e divisioni, pazienza, coraggio, un po’ di sobrietà e tanta semplicità di intenti possono già fare molto. Soprattutto possono rendere un giardino «povero», fatto di poco e senza troppe pretese, certamente più attraente e più gradevole di un giardino strabordante di ricercatezze e pezzi unici, di attrezzi lussuosi e letami rinomati, di capricciose aspettative e insaziabili vanità.
E’ proprio vero che spesso il troppo stroppia: i giardini «ricchi», a furia di venir rimpinzati di piante, lustrati e levigati, fatti e rifatti, stravolti così tante volte da annullarne la storia e la patina, rischiano con facilità di trasformarsi in posti indecisi e pasticciati. Un patchwork che via via perde di carattere, che alla fine non riesce più ad emozionare. Zeppo di ogni ben di Dio, una vera gazzarre di proposte e di ispirazioni, che però a volte (non sempre, s’intende!) tradisce un’autentica paura di scegliere. Quando tutto o quasi è possibile, gli sbagli sembrano più colpevoli e le critiche feriscono di più: solitamente e comunque i giardini non vengono lasciati tranquilli, è tutto un frenetico ripensare, un’aggiunta, un non accontentarsi mai. Accanto agli alberi esistenti altri già ne vengono messi a dimora, senza considerare che nel futuro non avranno, né gli uni né gli altri, lo spazio sufficiente per vivere bene. Muri, bordi ed aiuole offrono un campionario quanto mai variopinto, la quantità e la bizzarria diventano i principali criteri di bellezza. E intorno pullulano fornitori di ogni tipo, ben contenti di questo lavoro senza fine: una botanica Torre di Babele che del celebre principio «less is more» non trattiene neanche l’eco. O che viceversa lo storpia a tal punto da giustificare un algido minimal, tutt’altro che «povero», fatto anche lui di forsennati ripensamenti, di continue forzature e spesso purtroppo anche di abbattimenti insensati.
Non è soltanto una questione estetica, ma anche di salute e dunque di forza del giardino: il poco evidentemente non può permettersi molti sprechi, le piante già esistenti vanno salvaguardate, le nuove centellinate con cognizione di causa. Ecco che spesso la scarsità dei mezzi aguzza l’ingegno e impone la conoscenza: raramente c’è spazio per capricci o azzardi, tutto ha una sua stringente logica giardiniera, una sua non distratta valorizzazione. Per fortuna i giardini (almeno loro!) sanno essere meritocratici: la loro felicità non dipende tanto dalla profusione di mezzi, ma dalla lungimiranza e dal sapere di chi li cura...
Che siano vecchie aie contadine, con la vite che festona il muro, un grande alloro, un albero di cachi al centro, che sia un antico giardino che le traversie della vita hanno abbandonato a sé stesso, magari pieno di magagne, decisamente «scappato», ma per fortuna immune da cerebrali ed offensivi restyling. Che fin dalle origini sia stato piantato con ponderazione, la pianta giusta al posto giusto, e rispettato nel tempo, senza che nessuno si sia lasciato mai prendere la mano. Molto raro a dire il vero. O, seppur trasfigurato, ci sia stato poi il coraggio di liberarlo dalle costipazioni, selezionando e semplificando. Ahimè ancora più raro: quanti di fronte ad un viale di tigli troppo vicini oserebbero eliminarne uno sì e uno no, come andrebbe fatto per il loro stesso bene? Quando un giardino «povero» riesce a sopravvivere o a rivivere è quasi sempre un luogo autentico, bello, saggio ed affascinante...