la Repubblica, 1 febbraio 2019
Le miniere mortali del Brasile
Una vena rossastra che si irradia nel verde della foresta pluviale e che diventa una ragnatela. Come un virus. Sempre più largo, sempre più profondo. Le foto satellitari scattate in queste ore illustrano bene gli effetti dell’ultimo disastro umano e ambientale, il più grave del Brasile. Il fiume Paraopeba ha cambiato colore. È diventato un canale di contaminazione.
Le amministrazioni locali mettono al riparo la gente e chiedono di lasciare le case, invitano i pescatori a tirare in secco le barche, a evitare di pescare e mangiare i pesci che potrebbero già essere carichi di veleni. Più a monte, 38 chilometri da Brumadinho, città di 40 mila abitanti nel cuore minerario del Minas Gerais, Stato brasiliano del sudest, si scava senza sosta. È una corsa contro il tempo. All’appello mancano ancora 259 persone, 99 cadaveri sono stati recuperati sotto questa coltre nera e marrone. Solo la metà è stata identificata. Per gli altri bisognerà ricorrere al dna.
Venerdì 25 gennaio il crollo di una diga di contenimento del bacino che raccoglie i residui ferrosi della miniera del Córrego do Feijão ha travolto, con 12 milioni di metri cubi di acqua melmosa carica di veleni, 269.84 ettari di verde e campi coltivati. Si è rovesciato a valle un vero tsunami che ha sepolto la mensa dove in quel momento stavano pranzando 350 impiegati e maestranze della Vale, la più importante industria mineraria del Brasile.
La gente è stata colta di sorpresa. Si sono salvati in pochissimi. Gli altri sono rimasti intrappolati da questo fango che è diventato come una colla e sono stati lentamente assorbiti. Una morte atroce. L’ondata ha proseguito la sua corsa per centinaia di chilometri, ha incontrato fiumi e torrenti, ha inquinato le acque, ucciso decine di migliaia di pesci, trascinato detriti e animali, inondato i terreni vicini. A Jutuba, sulle sponde del Paraopeba, dove vivono 22 mila persone, si attende con ansia l’arrivo della melma. Le acque dell’affluente confluiranno nel São Francisco e tra il 5 e il 10 febbraio il disastro sarà incontenibile.
Davanti alle proteste, la Vela, acquistata nel 2006 dalla canadese INCO e trasformata nella seconda impresa mineraria del mondo, si è difesa. Ha mostrato i certificati di idoneità e di sicurezza che aveva appena ottenuto dopo attente ispezioni. Ma ha anche ammesso che tutti gli sforzi fatti non erano riusciti a evitare il disastro. A suo carico c’è anche l’altra, grande tragedia ambientale, avvenuta nel 2015, nella miniera di Mariana, sempre nel Minas Gerais. Anche allora si è aperto un bacino: 19 morti e 600 chilometri quadrati inquinati.
Su 4.000 miniere” altamente nocive” presenti in Brasile, secondo il ministero delle Miniere, ce ne sono 205 che contengono rifiuti minerali tossici. Sono a rischio, perché i muraglioni dei bacini di raccolta sono fatti con materiale di scarto. Cinque ingegneri, tre della Vale e due della società di revisione tedesca Tuv- Sud, sono stati arrestati per concorso in omicidio, strage e falso.
La holding canadese ha annunciato la chiusura di 9 dei 22 siti in funzione. Le sue azioni sono crollate del 27 per cento in Borsa.Dovrà risarcire le vittime, pagare una multa stratosferica. Non ha distribuito dividendi e bonus agli azionisti. Stima un calo della produzione del 10 per cento. Cinque miliardi di dollari in meno e un’immagine compromessa.