la Repubblica, 1 febbraio 2019
La crisi demolisce i big dell’edilizia
Blocco delle grandi opere, ritardi nei pagamenti della committenza pubblica, di conseguenza ricerca esasperata di sbocchi all’estero (che assorbe oltre l’80% del fatturato delle imprese di maggiori dimensioni) ma che spesso si rivela un rimedio peggiore del male perché espone a Paesi” difficili”, dal Venezuela all’Algeria alla Turchia. Sono questi gli ingredienti comuni del cocktail infernale che ha messo in ginocchio quattro società sui primi dieci colossi italiani attivi nei grandi lavori. L’elenco è diventato ormai familiare: Astaldi, Condotte, Cmc Ravenna, Trevi. Insieme a qualche altra più piccola ( da Tecnis a Grandi lavori Fincosit) sono società che al momento della crisi – esplosa tra il 2017 e l’anno scorso – avevano in pancia decine di miliardi di commesse, ma anche debiti verso banche, fornitori, detentori di bond e fornitori per oltre 7,5 miliardi, a fronte di un fatturato aggregato di quasi 7 miliardi.
Altrettanto importanti i numeri dei dipendenti coinvolti: 28mila occupati senza contare l’indotto, sia in termini di forza lavoro sia di fatturato. «Non dimentichiamo che il settore delle costruzioni è composto anche da tante imprese di medie e piccole dimensioni. Bisogna salvaguardare anche queste», sottolinea Franco Turri, segretario generale Filca-Cisl. Tra le grandi società in crisi, l’unica in amministrazione straordinaria è Condotte (che tra l’altro, al momento del dissesto vantava crediti verso la pubblica amministrazione per un miliardo): la prossima settimana potrebbe essere determinante per chiudere l’operazione di finanza straordinaria (190 milioni, se ci saranno i fondi presso il Mef per l’erogazione della garanzia statale sull’intera somma). Nel frattempo i commissari, con il supporto di Mediobanca, vaglieranno come vendere le commesse e i rami non strategici; le prossime settimane potrebbero vedere i bandi con le sollecitazioni delle proposte (mentre è già al vaglio l’ipotesi Illimity, cioè Corrado Passera, insieme a Oxy e Highbridge Capital).
Verrà invece prorogato di 60 giorni il concordato in bianco di Cmc Ravenna: la società è al lavoro per mettere a punto un piano in continuità ma con un perimetro aziendale più ridotto; a valle della definizione di cosa vendere – e dei sacrifici che verranno chiesti ai creditori, titolari di bond compresi – si vedrà anche quanta nuova finanza servirà per continuare l’attività. Da ieri però è più vicino lo sblocco di alcuni lavori in Sicilia, in collaborazione con l’Anas.
E poi ci sono le altre due “malate”, in questo caso presenti a Piazza Affari: Trevi e Astaldi, i cui termini per presentare un piano concordatario stanno per scadere (il 14 febbraio). Nel frattempo si attendono le offerte dei giapponesi di Ihi e di Salini- Impregilo, magari con Cdp. Intanto la Cassa si appresta a metter soldi nell’altra società quotata, la Trevi, di cui è già azionista: quando arriverà l’ok definitivo delle banche creditrici partirà anche l’aumento di capitale.