il Giornale, 1 febbraio 2019
L’Europa scopre il Cartello che drogava i titoli di Stato
L’accusa rivolta da Bruxelles a otto banche è pesante: aver fatto cartello per distorcere la concorrenza nel trattare i titoli di Stato europei in diversi periodi tra il 2007 e il 2012. La Commissione Ue ha avviato un’indagine formale: il timore è che gli impiegati alle scrivanie del trading si scambiassero informazioni sensibili e coordinassero le proprie strategie di negoziazione su bond denominati in euro.
Spifferi e contatti avrebbero avuto luogo principalmente – ma non esclusivamente – attraverso chat room online. «Uno schema collusivo» lo definisce in un comunicato l’Antitrust Ue che ha dunque inviato una lettera alle parti interessate. Queste ultime possono esaminare i documenti e chiedere un’audizione orale per presentare i loro commenti sul caso. Se la Commissione concluderà che la violazione c’è stata, potrà imporre una multa fino al 10% del fatturato mondiale annuale delle aziende coinvolte.
Chi è finito nel mirino? Bruxelles non fa nomi limitandosi a precisare che l’indagine riguarda solo gli operatori delle otto banche e questo «non implica che il presunto comportamento anticoncorrenziale fosse una pratica generale nel settore» dei titoli di debito sovrano. Già a dicembre, però, l’autorità guidata da Margrethe Vestager aveva accusato quattro istituti di far parte di un cartello sui bond, citando anche in quell’occasione l’utilizzo di chat da parte di operatori. In quel caso il periodo citato erano gli anni dal 2009 al 2015 e il sospetto riguardava soprattutto un «cartello» sul mercato secondario dove venivano scambiati bond sopranazionali, sovrani e di agenzie denominati in dollari (noti come «SSA bonds»). In quel caso l’agenzia Reuters aveva citato Credit Suisse, Credit Agricole, Bank of America Merrill Lynch e Deutsche Bank.
La stessa banca tedesca su cui ha indagato anche la Procura di Milano per la speculazione in titoli di Stato italiani effettuata nel primo semestre del 2011. Operazione che contribuì a far volare lo spread dei rendimenti tra i Btp e i Bund tedeschi e a creare le condizioni per dimissioni del governo Berlusconi, a cui subentrò l’esecutivo di Mario Monti.
La vicenda riguardava la forte riduzione negli investimenti in titoli di Stato italiani avvenuta nei primi sei mesi del 2011, quando Deutsche Bank smobilitò 7 dei circa 8 miliardi dei Btp che deteneva. Comunicando tutto soltanto il 26 luglio. Una notizia bomba, tanto che il Financial Times titolò in prima pagina sulla «fuga degli investitori internazionali dalla terza economia dell’Eurozona».
Quel che accadde veramente nell’estate in cui gli italiani scoprirono l’esistenza dello spread è tutto nelle cronache dei giornali dell’epoca: dall’esplosione della crisi del debito al rischio di declassamento dell’Italia, dall’indebolimento del governo alla lettera della Ue che impose al Paese la cura da cavallo anticrisi, fino al precipitare della situazione e l’autunno del Cavaliere, culminato con le dimissioni e la nascita del governo Monti. Il 4 gennaio 2011 lo spread tra i Btp e gli omologhi Bund tedeschi è a 173 punti. Il 30 dicembre arriverà a quota 528, con un incremento di 355 punti. Termometro della fragilità economica italiana. Ma anche di una speculazione che sembrava aver fatto perno sulla crisi finanziaria del Paese, causandone poi anche quella politica.