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 2019  febbraio 01 Venerdì calendario

Intervista a Luca Zingaretti sul suo Montalbano

Per festeggiare i suoi vent’anni in tv, Montalbano torna con due nuovi episodi. E soccorre i migranti. Nelle prime scene de L’altro capo del filo, il film ispirato all’omonimo romanzo di Andrea Camilleri (Sellerio) in onda su Rai1 in prima serata lunedi 11 febbraio, il commissario più amato dagli italiani, interpretato come sempre da Luca Zingaretti, sopraintende con abnegazione e umanità a uno sbarco nella sua Vigata. Mette in galera due scafisti stupratori, raccoglie in mare il cadavere di un profugo. E a chi gli prospetta la potenziale pericolosità dei migranti, ribatte: «Ancora la storia secondo cui i terroristi dell’Isis entrerebbero qui con i barconi?».
Dunque anche la fiction italiana più popolare ed esportata nel mondo (solo nel nostro Paese, i 34 episodi hanno totalizzato tra prime visioni e repliche la bellezza di un miliardo e 179.869 spettatori) affronta un tema di scottante attualità a rischio di contraddire la politica del governo sugli sbarchi. Ma la Rai nega qualunque imbarazzo: Camilleri ha scritto il romanzo tre anni fa, replicano a una voce la direttrice di Rai1 Teresa De Santis e il capo di RaiFiction Eleonora Andreatta, inoltre cinema, tv e letteratura «hanno sempre offerto spunti di riflessione sulla contemporaneità», per questo «le polemiche non ci riguardano». Zingaretti, che nel 1999 prestava per la prima volta carisma, ruvidezza e onestà intellettuale alla creatura di Camilleri (in Il ladro di merendine) intingendola nei colori e nei sapori della sua Sicilia, torna ora in due nuovi episodi: L’altro capo del filo, che lo vede indagare sull’omicidio di una sarta (Elena Radonicich), sarà seguito il 18 febbraio da Un diario del ’43 che racconta tre storie nate da un altro sbarco: quello degli americani, avvenuto 70 anni fa. L’attore, 57 anni e due figlie, spegne felice le 20 candeline della fiction e racconta la sua avventura.
Innanzitutto: la pensa come Montalbano sui profughi?
«Sono un attore, recito le battute del copione. Quello che penso sui migranti l’ho detto nel 2016 nel monologo Stronzate. Nessuna polemica politica. Il fenomeno delle migrazioni ha proporzioni bibliche e nasce dalla frattura sempre più profonda tra povertà e ricchezza. Da uomo di mare e da cattolico credo che il soccorso sia un dovere».
E un attore ha il dovere di esporsi sui temi di attualità?
«Non sempre. A volte le opinioni vengono espresse in modo inappropriato e poi i social distorcono tutto. Prima di parlare, bisogna pensarci bene».
Restando sull’attualità: la sinistra ce la farà, grazie a suo fratello Nicola, a risollevarsi?
«Proprio perché coinvolge Nicola, preferirei non parlare di questo argomento».
Parliamo allora di Montalbano: cosa rappresenta per lei?
«Una figura paterna. Del mio vero padre, il commissario ha il senso etico, il rigore, l’incapacità di farsi comprare».
È mai stato tentato di abbandonare il personaggio?
«Certo. Nel 2008 ero proprio deciso: pensavo che avessimo ottenuto i massimi risultati e preferivo uscire di scena con l’applauso, prima che il pubblico si stancasse. Ma poi ho passato tre anni a rimpiangere Montalbano: mi mancavano i luoghi, le persone, i riti, la drammaturgia. Ho avuto coraggio, sono tornato e mi è andata bene: abbiamo tagliato le gambe alla concorrenza».
Com’è cambiato, in tutto questo tempo, il commissario?
«Poco. Cambia il mondo, cambia lo sfondo, ma Montalbano è sempre lo stesso perché così lo vuole il pubblico. Deroga alla legge che considera ingiusta, si assume le sue responsabilità, applica la sua personale visione del mondo. E io ho avuto il privilegio di interpretarlo per ben 34 volte. Se non avessi fatto Montalbano, oggi sarei diverso».
La squadra della fiction non è mai cambiata dal regista Alberto Sironi al produttore Carlo Degli Esposti, fino agli attori Peppino Mazzotta, Cesare Bocci, Angelo Russo, Sonia Bergamasco. Manca solo Marcello Perracchio: faceva il dottor Pasquano ed è scomparso nel 2017.
«Ed è stato un grande dolore per tutti. Nell’episodio Un diario del ’43 racconteremo la sua morte: è la scena più commovente che abbia mai interpretato».
Dica la verità: Salvo Montalbano sposerà la sua Livia?
«Quando mai. I due si lascerebbero subito. Lei sopporterebbe quel rompiscatole appena cinque minuti».
Fa ancora il produttore?
«Sì. Ho appena terminato in collaborazione con Palomar il film di Salvatore Piscicelli La vita segreta di Maria Capasso. Dopo lo spettacolo The Deep Blue Sea ho altri progetti, che sto sviluppando a mie spese».
Perché il cinema italiano è in crisi?
«Perché non ha coraggio. Si fanno troppe commedie e non tutte di qualità. Io, come attore, preferisco la buona tv. O le opere prime: di recente ho interpretato La terra dell’abbastanza e Thanks for Vaselina».
Con le sue figlie Emma, 7 anni, e Bianca (3), lei è il poliziotto buono o quello cattivo?
«Quello buono rispetto a mia moglie Luisa (Ranieri, ndr). Sono un padre ansioso, desidero il bene delle bambine».
Ha un sogno?
«Nel lavoro non direi. Sono più che soddisfatto della mia carriera meravigliosa. Mi auguro semmai un mondo pacificato e capace di risolvere l’emergenza ambientale. La gente è stremata, ha paura. E la paura genera mostri».