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 2019  gennaio 31 Giovedì calendario

La corruzione esiste non quanto dicono

Gli alchimisti di Transparency International si sono rifatti vivi (poi spieghiamo chi sono) e hanno cercato di propinarci altri dati farlocchi sulla corruzione: non gli crede nessuno da anni – nessuno che abbia almeno la terza media – e però giornali e politici fingono il contrario assieme a sprovveduti, impallinati, soprattutto grillini e lordatori del costume italico: dipende. Tre anni fa c’era ancora l’Unità che dava enfasi alla notizia che l’Italia aveva scalato il ranking di 8 posizioni mondiali: perché c’era al governo la sinistra. Quest’anno, invece, è toccato ad altri evidenziare che l’Italia è piazzata al 53esimo posto nel mondo (52 punti su 100) con un miglioramento di due punti: «La reputazione del nostro Paese sta migliorando, siamo sulla strada giusta» s’inventava l’altro giorno il commercialista Virginio Carnevali, presidente di Transparency Italia e – senza offesa – perfetto signor nessuno. E in attesa che si brandiscano i nuovi dati trattandoli come vangelo, sarebbe interessante far notare che l’Italia è invece 56esima secondo l’ultimo rapporto della Banca Mondiale (dopo Ruanda e Bulgaria) oppure 80esima secondo l’Index of Economic Freedom (il Botswana è 36esimo) oppure 69esima secondo il Corruption Perception Index, oppure 73esima secondo il World Freedom Press Index, oppure ancora 69esima secondo il Global Gender Gap Index. Che significa? Significa che sono tutte cazzate, ma per spiegarlo scientificamente viene in soccorso un fresco studio Eurispes titolato «La Corruzione tra realtà e rappresentazione. Ovvero: come si può alterare la reputazione di un Paese».

FICTION E REALTÀ
Lo studio, curiosità, è prefato dal contraddittorio Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione: lo stesso Cantone che officiò la conferenza stampa di Transparency nel gennaio 2016 e, l’altro giorno, ha ospitato Transparency presso l’Anac: contribuendo – nostro parere – a sputtanare l’anticorruzione di cui è presidente. A parte questo, non c’è solo lo studio Eurispes. C’è quello de Il Mulino (dicembre 2017) secondo il quale persiste uno scarto significativo tra la famigerata «corruzione percepita» e quella reale, tanto che gli italiani si autorappresentano come corrotti pur essendo nella media europea. Ci sono gli articoli del giurista Sabino Cassese sul Corriere della Sera, che ha ridicolizzato la maxi-balla dei 60 miliardi annui che ci costerebbe la corruzione. C’è, stesso tema, il saggio di Luca Ricolfi e Caterina Guidoni («Il pregiudizio universale», Laterza, 2016) e poi però c’è da spiegare qualcosa su questi di Transparency. In pratica sono gli inventori di un «indice di corruzione percepita» che ogni anno inseriscono in un «Barometro mondiale della corruzione»: ma si tratta solo di sondaggi su una percezione, domande a uomini d’affari e delle istituzioni o a cittadini qualsiasi. Ogni anno però fingiamo di berci i dati sul relativo Cpi italiano (Corruption perception index) che viene sparato come dato inoppugnabile. Intanto Transparency campa con finanziamenti vari (100mila euro a testa pagati per esempio da Enel, Telecom, Vodafone, Luxottica, Terni, Generali, Edison, Falck, Impregilo, Snam, Terna) oppure, oltre al 5 per mille, facendosi pagare seminari da Comune di Milano, Unioncamere, Ferrovie Nord Milano, Camera di Commercio e altri enti pubblici, compresa la presidenza del Consiglio. Gli affari, diciamo così, vanno bene, e la persistenza del tema corruzione è il loro pane quotidiano. Peccato che – come spiega il presidente di Eurispes Gian Maria Fara, non riferendosi soltanto a Trasparency, ma ai vari «percettori» nel loro insieme – questo abbia contribuito al «rafforzamento dell’immagine dell’Italia come Paese corrotto, anzi, tra i più corrotti in assoluto... Il risultato è stato il progressivo abbassamento dell’appeal del Paese e dei suoi principali attori economici, con gravi ricadute in termini di crescita e sviluppo».

NESSUNO SA COSA SIA
Insomma, si muovono i «protagonisti di una vera e propria ingegneria reputazionale che fondano classifiche e graduatorie attraverso la mera percezione soggettiva della corruzione». E che dice l’onnipresente Raffaele Cantone nella prefazione allo studio? Parla di «scarsa affidabilità degli indici di percezione, poiché non misurano il fenomeno ma solo l’impressione che se ne ha… Tutti “avvertono” la corruzione ma nessuno (o quasi) ha mai avuto direttamente a che fare con essa… Non vi è neppure comunanza su che cosa si intenda con esattezza per corruzione». Poi lo studio Eurispes, con argomentazioni accademiche, evidenzia – ci scusiamo per la sintesi – il cosiddetto «Paradosso di Trocadero («Più combatti la corruzione, più la rendi percepibile») e il cosiddetto «Paradosso del safe haven», secondo il quale «attribuire a un Paese una patente di permeabilità alla corruzione significa anche incidere sulla scelta che le organizzazioni criminali compiono». Da qui la domanda: dove si dirigerà un immigrato, dovendo scegliere tra un Paese definito corrotto e uno difficilmente penetrabile? Dove guarderanno i trafficanti di migranti? Dove finiranno i capitali delle multinazionali del crimine? È chiaro, poi, che se agli intervistati chiedi «il suo è un Paese corrotto?», oppure «ha mai avuto sentore che alcune decisioni siano state determinate dalla corruzione?», la risposta in Italia sarà scontata. Molto utile, sul tema, anche il libro di Federica Pintaldi «Come si interpretano gli indici internazionali» (Franco Angeli, 2011) per meglio comprendere come l’Italia tenda a collocarsi, negli studi degli indici internazionali, in posizioni molto più basse di quanto non meriterebbe il suo status.

ALTRO CHE SCIENZA
Tornando a Transparency, spiega Eurispes, «gli indicatori tradizionali di percezione non effettuano una diagnosi approfondita, né consentono di analizzare i fattori chiave e i costi della corruzione». Gli strumenti usati sono il Cpi (Corruption Perception Index) che è l’indicatore più diffuso ma è basato solo su questionari rivolti a personaggi che vivono nel Paese in questione, come detto. L’altro indice è il Bpi (Bribe Payers Index) che dovrebbe misurare l’inclinazione dei privati a pagare tangenti a membri della Pubblica amministrazione. Il Global Corruption Barometer, infine, fu introdotto da Transparency sin dal 2003. Questo mentre l’Ocse (Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo) elaborava un rapporto secondo il quale «la corruzione percepita in Italia è da record, sfiora il 90 per cento». Percepita. Solo Portogallo e Grecia sono messi peggio, pardon, percepiscono peggio. Lo studio Ocse, citato da Eurispes e denominato «Curbing corruption», aggiunge che l’Italia è anche tra i Paesi in cui la fiducia nel governo è più bassa. Se poi i governanti parlano e sparlano di un Paese corrotto – ogni riferimento non è casuale – il cortocircuito è certo. E i sondaggi disfattisti come quelli di Transparency – morale – riflettono l’immagine che un Paese ha di se stesso e non il quadro reale.