il Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2019
Autonomia, secessione, silenzio e T. S. Eliot
Sì, certo, c’è il caso Sea Watch e il processo a Salvini. Per carità, pure i 40 mila euro di Beppe Grillo, Maduro dittatore brutto e i talebani che invece si sono fatti democratici, la Brexit e le relative cavallette, il razzismo negli stadi, i benefici del Tav e mille altre importanti notizie raccontate (e/o fraintese) dai media, vecchio stile o social che siano. Vorremmo aggiungere, però, alla lista su cui si esercita la libertà di pensierino (che dio benedica Arbasino) del pubblico sovrano una bagattella trascurata forse, e ribadiamo forse, perché ha l’appoggio del 90% delle forze parlamentari: ci riferiamo alla famosa “autonomia differenziata” per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che dovrebbe essere approvata il 15 febbraio, nota ai suoi critici come “secessione dei ricchi”. Si tratta di una complessa cessione di poteri dallo Stato alle Regioni che, nelle intenzioni dei proponenti (in specie dei leghisti), dovrebbe coinvolgere il gettito fiscale e l’articolazione della pubblica amministrazione sul territorio (scuola, sanità) finendo, in sostanza, per creare un’Italia a 21 velocità. Ora, al di là delle opinioni, il problema è che di questa profonda riforma dell’assetto istituzionale – iniziata col governo Gentiloni e proseguita dai gialloverdi – nulla si sa: nessuno conosce i testi dei tre accordi in arrivo a Palazzo Chigi (che il Parlamento potrà solo bocciare o modificare con l’assenso delle regioni interessate), né risultano pubbliche discussioni nel merito. D’altronde è così, lo sapeva già T.S. Eliot, che finisce il mondo: con un lamento, non con uno sparo.